Recensione libro “Capodanno da mia madre” di Alejandro Palomas

Calde lacrime hanno solcato il mio viso.

La commozione ha avuto la meglio, è stata liberatoria, mi ha donato pace, e una nuova consapevolezza. Le ultime righe mi hanno letteralmente travolto, mi hanno concesso il privilegio di abbandonarmi e di assaporare tutte le emozioni in gioco, nella loro forma più pura, essenziale. Perché l’amore, quello vero, ci rende più forti, ci insegna a rialzarci, ci regala un nuovo giorno, ci dona la certezza che non si è soli a questo mondo. Ci sarà sempre qualcuno che ci aspetta, là dove la vita è cominciata.

Il romanzo di Palomas “Capodanno da mia madre” mi ha riportato alle atmosfere dei film anni ’50 e ’60, dove l’intera storia si svolge nell’arco di poche ore, in uno spazio ben delimitato e i protagonisti appaiono intrappolati, incapaci di sfuggire ai propri desideri e ai propri rancori.

Potrebbe essere una storia come tante, in fondo tutte le famiglie si assomigliano un po’, e Alejandro Palomas ci narra le vicende di questa famiglia, con cura, con calma, addentrandosi in ogni singola esperienza con tatto, concedendo al lettore tutto il tempo necessario per ascoltare il loro racconto.

Amalia è l’anima più pura, forse quella che ha sofferto di più, che ha trovato la forza per rialzarsi, per vivere questa sua nuova vita a modo suo. La sua visione della realtà è del tutto soggettiva, è sempre causa di discussioni e motivo di preoccupazione per i suoi figli. Ma Amalia riesce a vivere il suo quotidiano in assoluta armonia con il suo pensiero, circondandosi, a volte, da personaggi poco raccomandabili, che lei prende amorevolmente sotto la sua ala, come donna, come amica, come madreNon è ingenuità, è solo fiducia nel prossimo. Una fiducia che lei ripone negli altri con naturalezza, istintivamente.

La cena di capodanno organizzata e tanto attesa da Amalia, diventa il palcoscenico delle loro vite. Il passato sarà l’ospite d’onore, la malinconia travolgerà ogni commensale, e la verità sarà la “portata principale”. Il racconto si snoda tra alti e bassi, tra liti e recriminazioni, tra ricordi tristi e divertenti, inframezzato da momenti di pura ilarità che calmeranno gli animi e alleggeriranno le tensioni nell’aria.

“… siamo ancora cinque Due generazioni di fratelli: quella di mamma. – lei e zio Eduardo – la. – io, Silvia ed Emma -, come due rotaie parallele che attraversano il tempo, separate questa sera da tavolo, piatti, bicchieri e dalle molteplici interpretazioni della nostra storia “.

Una frase che mi ha colpito è stata…

” Qualche luce e molte ombre. Questo è un modo di dire che ci appartiene, tipico di chi è sangue del nostro sangue”.

Molte ombre, molti “assenti” a quella tavola.

La prosa evidenzia la vena ironica di alcuni protagonisti, una ironia tagliente, sincera irreverente, ma anche tanto divertente, perché quando la realtà è dura, solo una sana e genuina sincerità, rende tutto, la vita compresa, più accettabile.

Amalia è sicuramente il personaggio che ho amato fin da subito, la sua vita è un esempio di rinascita, dopo anni di soprusi è riuscita a riprendersi la sua vita, finalmente protagonista.

“La libertà quando arriva all’improvviso non sempre viene assimilata nel modo giusto”.

Ci sono stati degli sbandamenti, degli errori, ma sempre a fin di bene. “.. era diventata adulta… ci fece diventare minuscoli, mettendo ordine in un paesaggio che credevamo immutabile”. Un vero esempio di donna e madre, che sa, che comprende, che sostiene, che dona la forza per guardare al domani con coraggio.

“Ogni cosa nella nostra vita ha un senso; ogni fine è anche un inizio. Succede però che, quando la stiamo vivendo, non ci è dato saperlo”.

Ho sentito una bella affinità con lei, personaggio molto credibile, ha reso questo romanzo speciale. Vedere quello che agli altri sfugge o non vogliono vedere, è il suo modo di dire “ti voglio bene così come sei”. Accettare le difficoltà o dire addio a qualcuno è difficile, doloroso, ma inevitabile. Il suo amore li ha resi tutti più forti, aiutandoli ad accettare la perdita con la consapevolezza di non essere soli.

“Le cose possono cambiare, sì, ma se tu non le vedi se non allunghi la mano per toccarle non ti renderai mai conto che non sono più come erano una volta. Non succederà mai niente così. Mai niente “.

Romanzo che annovero tra i più belli mai letti, da leggere e rileggere. La lettura risulta scorrevole, la prosa semplice, essenziale. La trama convincente, ricca di contenuti. Nel complesso molto coinvolgente ed emozionante.

Ringrazio Alejandro Palomas per aver pensato e scritto questo libro.

SCHEDA DELL’EDITORE

È il 31 dicembre a Barcellona e Fernando, detto Fer, è seduto al tavolo della sala da pranzo di sua madre a piegare con cura i tovaglioli rossi. Amalia, la mamma, è nervosa e piena di gioia. Dopo tanti tentativi frustrati, tutti i suoi figli e parenti – il sangue del suo sangue – si siederanno a tavola per festeggiare l’ultimo dell’anno e brindare finalmente insieme.
Ci sarà lui, Fer, con Max, l’alano che dorme con la testa in una perenne pozza di bava, regalo d’addio che il suo ex compagno Andrés gli ha lasciato, giusto per non sentirsi in colpa per essersi innamorato di un altro.
Ci sarà Silvia, la figlia maggiore, che, dopo aver perduto la bambina che portava in grembo, mastica rabbia e nicotina, ed è come una pentola a pressione sempre sul punto di scoppiare. Ci sarà Emma, la figlia più piccola, il disordine in persona, colei che ha sempre qualcosa che non va. E Olga, la sua compagna – l’aggiunta, come la chiama Silvia–: naso all’insù, perle, tacchi, borsa di Louis Vuitton, e l’aria supponente di chi ripete come un mantra “lascia che ti dica”.
Ci sarà, infine, l’eccentrico zio Eduardo, che l’anno prima si è presentato vestito da babbo natale e completamente ubriaco.
È un giorno importante, e Amalia non nasconde la sua gioia e le sue paure.
Silvia saprà stare al suo posto e non litigherà con Olga? E lo zio Eduardo non racconterà nessuna delle storie schifose dei suoi viaggi? E non busserà alla porta nessun vicino del palazzo, com’è accaduto anni prima, quando è comparso sulla soglia il signor Samuel in compagnia di una povera mulatta cubana mezza svestita?
Con un ritmo serrato e un impianto “teatrale”, Alejandro Palomas mette in scena una memorabile cena di Capodanno in cui ciascuno vuole, dal suo angolo di vita, scacciare ogni pesantezza e trascorrere una serata leggera. Ma, si sa, le feste in famiglia svelano puntualmente cose ignote, verità non ancora rifinite che affiorano improvvise, come la luce che sale dal mare all’alba del nuovo anno.

Katja Macondo

Recensione libro “Finchè notte non sia più” di Novita Amadei

“Cercò di ricordare come fosse arrivata in quella campagna sperduta, attraversata solo da uccelli migratori e dagli ultimi angeli, dove pioveva e spioveva e il silenzio vegliava su una lunga storia di venti, di versi di animali, sul respiro del bosco e il lamento delle campane al vespro, dove lei non si sentiva diversa da una ghianda o una foglia“.

La delicatezza della prosa, quasi un sussurro, mi ha incantato.

La trama si dipana lentamente, portando alla luce con circospezione i protagonisti di questo racconto molto emozionante. L’autrice, Novita Amadei, ci accompagna lungo questo viaggio, portandoci per mano nel cuore e nell’anima di ognuno di loro, lì dove albergano gli amori, gli affetti, i rancori.

Caterina, giovane ragazza italiana, sceglie di trascorrere un anno presso gli zii in Francia. Decide, quindi, di approfondire la sua conoscenza della lingua francese, e più esattamente della letteratura francese, sua passione da sempre. Il professore a cui si rivolge, uomo distinto e ottimo insegnante, la introduce con profonde e accurate argomentazioni alla scoperta di grandi autori, trasportandola lontana, rapita dalla sua voce e dalle sue parole.

La vita scorre placida, in quel piccolo borgo della campagna francese, ”dove il rollio del tempo non calcava mai la mano”, così diversa da Roma, così chiassosa, caotica, civettuola e soffocante.

Trascorre le sue giornate tra il salone della zia, dove dà una mano, e le lezioni del professore, ma un giorno compare nel salone Delio. Anche lui italiano, residente da anni in quel piccolo borgo assieme alla moglie Teresa, morta da tempo. Conduce un’esistenza solitaria nella sua grande casa, scandita dai ritmi lenti delle stagioni, e come unico compagno un vecchio cane che rispecchia in pieno il suo decadimento e la sua vecchiaia; una vita ai margini del borgo e della vita stessa.

L’incontro tra Delio e Caterina li cambierà entrambi per sempre, scatta immediatamente tra loro un affetto silenzioso fatto più di gesti che di parole. La ragazza comprende che il vecchio Delio è un uomo bisognoso di aiuto, il suo disagio rispecchia un malessere che va ben oltre quello fisico. I ricordi sono la sua unica compagnia, sente di aver fallito, scelte dettate solo dall’amore hanno finito per rovinare irrimediabilmente il rapporto con suo figlio.

L’angoscia lo attanaglia, consumandolo, e quando Caterina decide di trasferirsi a casa sua, sente finalmente rinascere in lui la speranza. Hanno bisogno l’uno dell’altro, come due anime che finalmente si sono ritrovate, la convivenza li libera dalla solitudine, rifiorisce in Delio la voglia di vivere, riaffiorano i ricordi, quasi tutti legati all’amatissima moglie.

Teresa è stata sua compagna per tanto tempo, hanno amato quel borgo, costruito la loro casa e curato con amore il loro orto. Lì è anche cresciuto Daniele, il loro unico figlio. Emergono tratti di una vita semplice, interrotta solo dalla morte prematura della moglie. La nostalgia della sua compagna è così forte per Delio, da essersi radicato in ogni anfratto di quella casa.

Caterina intuisce però che c’è dell’altro. Come mai il figlio manca da casa da quattro anni? Cosa è successo tra loro?

Le sue foto sono ovunque e quelle immagini la attraggono e la ossessionano nello stesso tempo. Nel suo cuore fa breccia un sentimento nuovo, sconosciuto, inspiegabile.

Daniele non ha contatti con il padre ormai da molto, non sente la necessità di recuperare un rapporto incrinato da tempo. Il lavoro, la musica e il suo amico Amir occupano le sue lunghe giornate. Li lega un’amicizia profonda, che va oltre le differenze religiose e di pensiero, nulla sembra scalfire la loro convivenza, si sostengono a vicenda confrontandosi sempre apertamente.

Sinceramente ho molto apprezzato l’accento che l’autrice ha posto in questo libro sull’integrazione e sul confronto tra culture diverse. È molto difficile conciliare il proprio credo e la propria mentalità in terra straniera. Il confronto tra i due è sempre aperto, Daniele rispetta Amir, ha sempre cercato di aiutarlo, ma qualcosa ad un certo punto si incrina, Amir è costretto a fare una scelta di vita, forse non quella che aveva sognato, ma in linea con i desideri della sua famiglia e delle tradizioni.

Una visione intima, profonda, di una integrazione difficile, che ha lasciato il segno tra le pagine di questo romanzo.

Daniele viene richiamato a casa, le condizioni di salute del padre sono molto peggiorate. La presenza di Caterina assottiglia il divario esistente tra padre e figlio. I loro rapporti sono ridotti all’osso, nulla li accomuna, neanche l’affetto per Teresa, la madre.

Il rancore ha la meglio su Daniele, non riesce a placare il disagio di trovarsi in quella casa. Delio dal canto suo non sembra accorgersi di questa situazione e alimenta un rapporto inesistente, troppo felice per il ritorno del figlio, ma molte sono le vicende familiari inconfessate, che abitano ancora tra quelle mura.

Ma con il passare del tempo Delio sente per la prima volta che qualcosa sta cambiando, grazie a Caterina che con la sua dolcezza ha fatto breccia nei loro cuori, soprattutto in quello di Daniele, che ritrova, dopo un lungo percorso, un padre e una donna da amare. Il loro è un amore che cresce silenziosamente, profondamente. Le loro anime sono affini, si cercano, si sfiorano, si completano. 

Commovente, toccante, romanzo che segna.

Ottimo ritmo narrativo, prosa scorrevole, che facilita la lettura di un romanzo ricco e corposo. Si denota un profondo rispetto per ogni singolo personaggio, sempre coerente con il ruolo assegnato.

Un affresco sincero, delicato, dei moti dell’animo che albergano in tutti noi. È facile ritrovare e ritrovarsi in questa bellissima storia.

SCHEDA DELL’EDITORE

All’alba di un nuovo anno, Caterina giunge in Francia dove sua zia Liliana si è stabilita dopo il fatale incontro con un turista francese. Nel borgo, antico come un aratro, sembra che il tempo non calchi mai la mano: campi coltivati a orzo, frutteti per trarvi conserve e marmellate, forni a legna dove cuocere il pane dal sapore acidulo del lievito madre, tutto sembra ubbidire a un placido scorrere degli anni e delle ore.
Capelli biondo ruggine e, dipinta sul volto, la bellezza senza compromessi della gioventù, Caterina ha lasciato Roma, con i suoi androni scrostati e le strade chiassose, per sfuggire all’abbraccio soffocante di sua madre e trovare la propria via nel mondo. Conclusi gli studi, ha raggiunto zia Liliana con la prospettiva di un lavoro in un poliambulatorio e l’idea di dare una mano nella conduzione del Liliane Coiffure, un lindo salone di parrucchiera dalle poltroncine viola che la zia ha aperto in quel borgo nel sud della Francia.
Un giorno capita nel salone un vecchio signore con una massa scompigliata di capelli e una mano tremante abbandonata lungo la gamba. Si è ferito alla fronte nel tentativo di accorciarsi da solo i capelli, ed è in imbarazzo tra quelle poltroncine viola, i vasi di ranuncoli e le riviste di moda impilate negli angoli. Fuggirebbe, se non fosse per l’accoglienza che gli riserva Caterina, che si prende subito cura di lui.
Come due anime che si sfiorano e si riconoscono, Caterina e Delio, il vecchio signore, comprendono all’istante che il filo del destino li unisce. La sera stessa la ragazza riempie una valigia e si stabilisce nel casolare accanto alla casa di Delio. Il vecchio vive solo, circondato da una terra dura, con malerbe che crescono ovunque e cumuli di sterpaglie affastellati lungo i camminamenti dell’orto, quell’orto che sua moglie Teresa coltivava con cura prima che la malattia se la portasse via. Caterina non tarda a capire che un’altra mancanza grava sul cuore malandato del vecchio: Daniele, il figlio che la foto sulla credenza raffigura come un giovane uomo prestante, coi capelli un po’ lunghi e un’aria sfrontata, è assente da casa da più di quattro anni. In paese, dove tutti parlano di lui e qualche ragazza lo nomina con il rimpianto di una ex innamorata, si sussurra che una grave offesa l’abbia spinto a rifiutare ogni contatto col padre.
Quando, però, dopo una caduta, Delio cede alla vecchiaia e si mette a letto col volto scavato dalla stanchezza della vita, Daniele compare sull’uscio di casa. E Caterina, tormentandosi una ciocca di capelli, lo accoglie con un sorriso di disagio, il cuore impazzito.
Appassionante romanzo sull’educazione sentimentale di una giovane donna, scritto con una prosa delicata capace di ritrarre magistralmente i moti più profondi dell’animo, Finché notte non sia più costituisce una splendida conferma del talento dell’autrice di “Dentro c’è una strada per Parigi”.

Katja Macondo

Recensione libro “La casa sull’isola” di Catherine banner

Una saga familiare che ha assorbito tutta la mia attenzione fin dalle prime pagine, la fluidità della prosa mi ha completamente catturato, trascinandomi lì, su quell’isola sperduta al largo della Sicilia.

Il racconto si presenta subito ricco e corposo, le vicende si snodano tra un personaggio ed un altro, narrato con maestria, svelandone man mano le storie e i retroscena. Vite vissute all’ombra di paure ancestrali, legate a leggende e racconti tramandati nel tempo e che sono riusciti a penetrare le anime di ogni abitante dell’isola.

L’isolamento forzato ha trasformato Castellamare in un luogo chiuso, gretto, restio ai cambiamenti. Il giovane Amedeo, medico fiorentino dalle idee moderne, si ritrova ben presto alle prese con i poteri forti dell’isola che si oppongono al suo ruolo di medico condotto. Eppure Amedeo nonostante tutto sente un’affinità speciale, unica, con l’isola, la considera da subito casa sua. La gente diventa la sua gente, e prendersi cura di loro non è solo un dovere ma un piacere, anche se la paga è magra e le condizioni ambientali non delle migliori.

Le credenze popolari, le tradizioni che animano la quotidianità di Castellamare conquistano immediatamente Amedeo, e le trascrive con una cura maniacale su un libretto che porterà sempre con sè. Le storie del passato, i racconti dei vecchi cantastorie lo hanno da sempre affascinato, e l’isola è così intrisa di antiche leggende di cui ormai si sono perse le origini, ma così vive nell’immaginario degli abitanti di Castellamare.

In questo luogo dimenticato da Dio la vita scorre tra alti e bassi, lontano dalla terraferma si ha la sensazione di vivere in un’altra dimensione. Ma il mondo al di là dell’isola sta cambiando, una grande guerra è alle porte e molti uomini sono chiamati al fronte. Anche Amedeo fa la sua parte, patirà e combatterà una guerra che non ha voluto. Molti non faranno ritorno a casa, altri torneranno mutilati nel fisico e nell’anima.

Ricominciare è dura, tra lutti e miseria, la vita pian piano ricomincia, e anche Amedeo decide di sposarsi con Pinavedova di guerra. Una donna energica, colta, capace di guidare la sua famiglia con dolcezza e fermezza allo stesso tempo.

L’amore che li lega è un amore profondo, tenero; una sintonia perfetta, come può esserlo solo quello tra un uomo e una donna che si rispettano e si stimano.

Tutto sembra andare per il meglio fino a quando il medico condotto non viene coinvolto in uno scandalo, un presunto figlio concepito la notte prima delle sue nozze con Pina. La verità celata per tanto tempo è ora sulla bocca di tutti, Amedeo non sa come rimediare ad un errore commesso in un momento di debolezza, una storia che per lui non ha significato nulla comprometterà la sua vita e quella dei suoi figli.

Un errore che nel tempo ha alimentato odi e rancori, e a pagarne il prezzo più caro saranno proprio i suoi figli, costretti a subire le maldicenze di un intero paese.

Il perdono della moglie sarà solo l’inizio di una nuova vita per Amedeo che da quel momento in poi si ritrova a doversi reinventare, deve rinunciare per sempre alla sua professione di medico. Riapre un bar ormai chiuso da tempo e incomincia una nuova vita dietro un bancone servendo caffè, limoncello e arancini.

Tutto sommato la sua vita lo soddisfa, arrivano i figli e il benessere, la vita scorre placida, e il bar diventa il centro nevralgico di Castellamare, dove incontrarsi e condividere pensieri, e sovente spettegolare. Infatti i pettegolezzi sono e saranno lo spettro che li assillerà, impareranno con il tempo a conviverci, la famiglia di Amedeo è costantemente sotto l’occhio vigile dell’intera comunità.

Intanto un’altra guerra è di nuovo alle porte e questa volta sono i suoi figli a partire. Resteranno solo in compagnia dell’unica figlia rimasta, Maria Grazia.

Figura predominante, che fin da piccola, affetta da un handicap, ha saputo imporsi a modo suo in una società arcaica e gretta, che non ha fatto altro che compatirla.

Ho amato molto questo personaggio, una bambina vivace, intelligente, che ha saputo guardare oltre, che ha saputo prendersi cura della propria famiglia quando tutto sembrava perduto. Un animo nobile, gentile, tenace in grado di dare molto e abbastanza forte da sopportare le ingiustizie.

Le donne in questo libro sono il cuore pulsantel’anima, figure che hanno retto il peso della perdita, che hanno saputo rialzarsi e sfidare il destinoCapaci di amare con ardore, senza mai dimenticare sé stesse, pretendendo rispetto per il loro ruolo di matriarche in una società maschilista e arretrata.

Pina, Maria Grazia, Maddalenadonne del passato, del presente, del futuro.

Ognuna artefice del proprio destino in un mondo che si evolve velocemente, ma i cambiamenti colpiranno anche loro, saranno costrette a stare al passo.

Ma il passato incombe ancora prepotentemente su tutti loro, con le sue ombre, con i suoi segreti e bugie. È giunto il tempo della verità e del perdono.

Molte sono state le recriminazioni, le perdite, e gli odi, e solo chi crede nella sua terra, nelle sue origini ha la forza di guardare al domani con occhi nuovi, portando sempre nel cuore il ricordo di chi non c’è più, e restando in attesa di coloro che stanno tornando a casa, perché casa è là dove c’è la propria storia.

Un romanzo ricchissimo sotto tutti i punti vista, capace di intrattenere il lettore con un lessico semplice e fluido; trama piena, avvincente, interessante. Quello che ho apprezzato di più è la cura dedicata ai vari personaggi, ne ho ammirato la crescita, la maturazione, sempre in perfetta sintonia al periodo storico vissuto.

Mi complimento, altresì, con l’autrice Catherine Banner, di origini inglesi, per essere riuscita a raccontarci, con un autentico realismo, una parte importante della nostra storia italiana.

SCHEDA DELL’EDITORE

1914, isola di Castellamare, Sicilia. In una notte d’inverno, due bambini nascono in due case distanti solo qualche centinaio di metri. Il primo è figlio di Amedeo, il medico condotto dell’isola, e di sua moglie Pina. Anche il secondo è figlio di Amedeo, ma la madre è la sua amante, Carmela, moglie del sindaco di Castellamare. Insidioso, lo scandalo si propaga nell’isola e distrugge la reputazione di Amedeo, che è costretto a lasciare il suo incarico e si ritrova a gestire un bar-pasticceria all’interno di una vecchia casa. La terrazza del bar diventa per lui – e per gli abitanti di Castellamare – un luogo da cui osservare e commentare un mondo che cambia vorticosamente e che porta sull’isola la tragedia di due guerre mondiali, lo slancio della ricostruzione, le tensioni sociali e politiche degli anni Settanta, la sfacciata abbondanza degli anni Ottanta e le luci e le ombre del nuovo millennio. Sebbene a Castellamare tutto sembri immutabile, i figli e i nipoti di Amedeo non soltanto vivranno tutti questi cambiamenti, ma v’intrecceranno anche le loro storie di amicizia e d’amore, di morte e di speranza. Perché la Grande Storia è sempre fatta di piccole storie. E s’illumina di una luce nuova se c’è qualcuno disposto a raccontarle. Magari da una casa su un’isola…

Katja Macondo

Poesie: “Background”

Eppure tace
il delirare di insensati pensieri,
tace il brusìo dell’anima incastonata
in questo music box,
e tace pure la ferita obliqua di lacrime fuori tono,
di una musica evoluta nel suo ferire
nell’apparire perpetua, quasi silente,
eppure assordante.
Tace quando vago solitario in cerca dei miei perché,
in balìa di uno stridio di nervi accavallati,
disteso in un letto di spine.
Il risveglio mi aspetta agonizzante uguale a ieri.
Insensati pensieri deliranti percorrono l’anima.
Tace la bocca serrata, cucita a punto croce.
Membra informi s’ammassano,
occhi vitrei guardano l’abisso
aspettando il conto alla rovescia:
9…8…7…6…5…4…3…2…1…zero.
E allora si compie la parola sghemba che dice
di quel particolare penzolare da un nodoso ramo,
mentre stormi di uccelli vanno oltre.
Non tace la musica in background,
intanto si è fatto notte.

Nello Farris

Recensione libro “Sette giorni di grazia” di Gracia Mercadè

“Una donna che voleva essere libera di amare, un popolo che voleva essere libero di scegliere: la storia di una donna che cambiò la storia del suo popolo.” Una premessa ad ampio respiro, come lo è Sette giorni di grazia di Carla Garcia Mercadè. Edizioni Salani. Un romanzo storico che ci svela una triste pagina della Barcellona del 1870, quando l’intera città è alle prese con una rivolta popolare. “Molti l’hanno dimenticata. Altri l’hanno chiamata rivolta. Ma è stata una guerra.

La guerra dei sette giorni, Senza sosta. Senza pace. Senza compassione.” Marianna, giovane donna in fuga dal proprio passato, diventa suo malgrado l’eroina di una storia più grande. La sua vita, scandita dai continui rintocchi delle campane, ci viene svelata con tutto il suo bagaglio di dolore. I segreti di una famiglia non hanno mai fine, e sarà proprio Marianna a scoprire la portata di tale peso. Il suo passato le è stato negato, la verità custodita con fredda determinazione. Un dolore immenso la costringe a fuggire da una vita non sua, e a nascondersi nei quartieri poveri di una Barcellona, che la accoglie come una propria figlia; è conosciuta come Herbetes, l’Erborista, perché conosce i segreti delle piante e sa come usarle per guarire gli uomini.

Barcellona sta andando incontro ad uno dei periodi più tristi della sua storia, il malcontento imperversa a causa della chiamata alle armi del governo spagnolo, che obbliga i ragazzi a servire nell’esercito, e che penalizza i più poveri, che non sono in grado di pagare l’imposta per esimersi dalla chiamata.

Quindi il protrarsi di nuove guerre portano allo stremo una popolazione già alle prese con la miseria e con i soprusi dei poteri forti. Quando scoppia la rivolta contro questo iniquo sistema di arruolamento nell’esercito, le vite di molti cambiano inesorabilmente, tra cui quella di Marianna, che si trova, dopo molti anni, a dover fare i conti con i segreti della sua famiglia. L’amore l’ha ferita, sconfitta, e ritrovarsi di fronte all’amore più grande della sua vita ed essere consapevole che per loro non ci sarà mai un domani, l’annienta. La consapevolezza di aver commesso un grande errore di valutazione, di essersi fatta accecare dall’amore, le impediscono di perdonare l’imperdonabile. La delusione è così lacerante, distruttivo, da averle tolto ogni gioia. Vive una vita misera, lei nata e cresciuta nel lusso, senza rammarico con il cuore arido, disilluso dall’amore.

Dedita al suo mestiere di erborista, si ritrova coinvolta in prima persona nella rivolta. “Tutti abbiamo bisogno di svelare i misteri, disfare nodi e trovare il filo. Perchè se no, non c’è verità…Ora tocca a me districare la mia. La nostra. Quella di tutti noi che vivemmo quegli anni e, soprattutto, quei sette giorni. Sette giorni. Perchè, sebbene oggi non resti più nessuno dell’epoca, tu ci ricorderai. E ci libererai dall’ingiustizia della dimenticanza. Anzi, molto di più : ci salverai dalla trascuratezza dell’oblio.” La sua figura di donna, infermiera e combattente è così forte e ben delineate, da diventare il fulcro dell’intero romanzo. Ne emerge un “personaggio” di grande rilievo, che ha un forte ascendente su tutti quelli che lo circondano durante quei terribili giorni di Barcellona. Ho amato molto questa eroina moderna, emblema di valori ormai perduti, sempre fedele a sé stessa fino alla fine. Coraggiosa come poche, si rende protagonista di un’azione audace, che la Storia le riconoscerà.

I protagonisti della rivolta emergono con forza in queste pagine pervase da grandi ideali, e da forti passioni, fieri e a testa alta affrontano il proprio destino dimenticando la paura. Un romanzo che merita tutta la Vostra attenzione. Appassionante, ricco, coinvolgente, smaschera eventi e personaggi che hanno cambiato il corso degli eventi. Una triste verità che costringe i nostri protagonisti a correre veloce incontro al loro destino verso un epilogo drammatico, inaspettato e nello stesso tempo grandioso. Romanzo ricco di dettagli storici, controbilanciato da una storia intrigante che spinge il lettore a continuare con piacere la lettura. L’autrice Carla Gràcia Mercadè ha in pieno soddisfatto le mie aspettative. Il buon ritmo narrativo, la scrittura piena e scorrevole mi hanno totalmente conquistata. I fatti narrati in questo romanzo si basano su documentazioni bibliografiche.

“Si racconta che a Barcellona, nel 1870, all’epoca della Rivolta delle Quinte, una donna umile, incarnazione del Popolo con la maiuscola, passò un giorno intero a tirare la corda del campanile di Gràcia,facendolo suonare senza sosta. Le forze militari non osavano muoversi per timore di della grande Rivoluzione che il rintocco della campana faceva presagire. Quandi i ribelli erano ormai dall’altra parte della montagna, il campanile di Gràcia continuava a suonare.” Settimanale La campana de Gràcia , 24 dicembre de 1932, articolo di Antoni Esclasans. Una precisazione della Mercadè, “molti personaggi come Marianna…sono frutto della fantasia dell’autrice. O meglio, sono personaggi che avrebbero potuto vivere fedelmente una vita nascosta e giacere in tombe senza nome.”

SCHEDA DELL’EDITORE

Barcellona, 1870. Nel quartiere di Gracias Marianna è chiamata ‘Herbetes’, l’Erborista, perché conosce i segreti delle piante e sa come usarle per guarire gli uomini. Quelli che Marianna non conosce sono i segreti del suo passato, quando neonata è stata accolta in casa Leedó, la famiglia proprietaria della grande fabbrica che dà lavoro a tanti abitanti del quartiere. È bella Marianna, bella e fiera, e quando scoppia la rivolta contro un iniquo sistema di arruolamento nell’esercito, che penalizza i più poveri, non esita a unirsi ai rivoltosi.

Nei sette convulsi giorni della rivolta, scanditi dal suono continuo della campana che chiama a raccolta il popolo, Marianna scoprirà che una famiglia può nascondere tanti, troppi segreti, e che l’amore travolge e ferisce e non concede scampo a nessuno. Un romanzo pervaso da grandi ideali e forti passioni, in cui i protagonisti affrontano a testa alta il loro destino e, dimenticando ogni paura, corrono veloci verso un epilogo drammatico e grandioso.

Katja Macondo

Recensone libro “Sotto un cielo di carta” di Roberto Ritondale

Finalmente un romanzo nuovo, innovativo, stimolante. Sotto un cielo di carta, Leone Editore. Lo definirei il libro “svolta”, quello che incontri poche volte nella vita, e che lascia il segno. In questo caso un segno indelebile, mi ha sorpreso, e nel contempo ha suscitato in me profonde riflessioni su questioni importanti, quali la libertà d’espressione, la comunicazione, la potenza e l’importanza del libero pensiero. Roberto Ritondale, autore e giornalista, ha saputo tradurre in parole una storia di ‘fantasia’ che risulta paurosamente attinente alla realtà del nostro tempo, dove imperversa una strategia del controllo da parte dei poteri forti, attraverso i social e la rete. E per l’appunto, la società descritta nel libro di Ritondale, è un mondo dove vige il “controllismo” e dove è bandita la carta. Immaginereste un mondo senza carta?

E le conseguenze di una scelta del genere? Attraverso le parole di Odal, un vecchio cartolaio nostalgico, che non si rassegna a vivere in un mondo senza carta, comprendiamo appieno il disfacimento di un’intera società civile, che paga a caro prezzo la ricerca ossessiva di un ideale di giustizia e di uguaglianza, in nome di un fantomatico progresso. Il regime del generale Sainon, salito al potere con un golpe militare, obbliga, con l’uso della forza e dei soprusi se necessario, a rispettare il suo Statuto. Sainon teorizza un nuovo sistema politico, economico e sociale, e lo fa attraverso il “controllismo”. “Ognuno avrà di meno, meno privacy, meno soldi, meno libertà, per avere di più, più sicurezza personale, più servizi, più ordine sociale.

Tutto diventa controllabile, ogni cittadino viene dotato di un tablet e solo con quello può connettersi, interagire, comunicare. Solo dal tablet può leggere libri e giornali, può studiare, prendere nota, fare acquisti; questo perché ogni tablet è connesso a un grande server che incamera i dati e li incrocia in tempo reale, scovando evasori e rivoluzionari, sorvegliando i gusti e i sentimenti, impedendo gli sprechi e le truffe.” Nessuno può trasgredire lo Statuto, la quotidianità è scandita dalle sue rigide norme, e chi vi si oppone viene eliminato come essere pensante, attraverso la demenza indotta. Un mondo crudele, inimmaginabile e insopportabile per il povero e nostalgico Odal, che non si rassegna. Gli manca terribilmente sfogliare un giornale, maneggiare un libro, scrivere una lettera su carta, e magari spacchettare un bel pacco regalo, ma quello che più gli manca è la sensazione di libertà. Perché quello è il vero motivo per cui la carta è stata bandita, non è controllabile. “I giovani, non coscienti del passato, fissano il proprio tablet con gli occhi persi, le cuffie sulle orecchie, assorbiti da una gioia priva di luce: sguardi senza colore, come doni senza carta regalo.”

Il Web si era rivelato un grande inganno, aveva promesso di avvicinare le persone e invece le aveva inesorabilmente allontanate. La rete si era fatta ragnatela, intrappolando invece di liberare.” Odal ne è convinto, talmente tanto, da sfidare le autorità più volte con il rischio di incappare nella terribile demenza indotta. E nonostante sia sorvegliato e segnalato come un nostalgico, Odal combatte una sua personale guerra al sistema, coinvolgendo, suo malgrado, sua nipote, sostenitrice del “controllismo”. Le descrive un mondo ormai perduto, forse non perfetto, ma libero di esprimersi con le parole e con i colori, e soprattutto libero di vivere le emozioni alla luce del giorno. Le dipinge un passato a lei sconosciuto, inducendola a riflettere su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Tanti personaggi si confrontano con Odal, mettendo in discussione il suo pensiero, molti lo sostengono, altri lo denigrano, altri addirittura lo deridono. Le vicende si susseguono velocemente, come veloci sono i cambiamenti in atto.

Si respira nell’aria, si sente sulla pelle il malessere, e sarà proprio lui, un sognatore, a dare una piccola ma importante spinta al cambiamento, attraverso una sua geniale intuizione. Perché “esistono leggi non scritte: quelle della compassione, dell’indulgenza e della carità…” Sono felicissima di aver letto questo libro. Lo dico così, semplicemente. Non ci sono parole per esprimere tutta la mia soddisfazione. Sono sazia come lettrice, grata di aver incontrato sulla mia strada queste pagine così ricche di significato, capaci di indurmi a riflettere sull’uso corretto dei social, e a lottare sempre per la mia libertà. Di non credere nei falsi idoli, o regimi ideali. Non esiste la società perfetta e non esisterà mai, ma esistono le persone con i loro pensiero, con la loro unicità, e sono loro la vera anima dell’umanità intera. Sotto un cielo di carta è stato pensato per giovani lettori. Personalmente lo consiglio a tutti indistintamente, perché è un’esperienza assolutamente da non perdere, per i contenuti e per la presenza di una prosa semplice che cattura e ammalia.

SCHEDA DELL’EDITORE
Odal Clean vive i suoi ultimi anni nella Grande Nazione del Nord, governata dal feroce regime del generale Sainon, promotore di una nuova ideologia, il Controllismo. Per sorvegliare in ogni minimo dettaglio la vita dei suoi cittadini, la dittatura di Sainon ha proibito l’utilizzo della carta. L’unico modo possibile per leggere e informarsi è utilizzare un tablet collegato a un grande server governativo. Ma Odal non ha intenzione di arrendersi, e nonostante le sue sofferenze ha più di un asso nella manica: il senso dell’umorismo, la vicinanza ai movimenti clandestini di opposizione al regime, il toccante amore della moglie e della nipote, l’esperienza come ex cartolaio. E sarà proprio quest’ultima la carta decisiva che Odal potrà giocare nella lotta contro Sainon.

Katja Macondo

Recensione libro “Tanta vita” di Alejandro Palomas

Lo stesso Alejandro Palomas mi ha consigliato di leggere “Tanta vita”, la sua opera preferita, quella che gli ha rubato l’anima. E questo si è sentito, si è percepita tutta la sua fatica, tutto il suo trasporto emotivo, e la sua passione per il suo lavoro, in questo intensissimo romanzo. Quello che balza subito all’occhio è la capacità di Alejandro Palomas di immedesimarsi nell’universo femminile. Il gioco dei ruoli mette in luce le diverse caratteristiche delle donne che popolano il romanzo, diverse per età, per condizione sociale e per esperienze vissute. Ognuna chiusa nel proprio labirinto, alla perenne ricerca dell’uscita da una vita che non rispecchia in pieno i sogni e le aspettative.

Le diverse voci narranti ci mettono di fronte a queste cinque donne, in un momento particolare della loro vita. Un recente lutto ha messo a dura prova il loro rapporto, distruggendo quelle poche certezze alla base della loro vita.

Il dolore è troppo grande anche per esternarlo, meglio soffrire in silenzio, rinnegando l’amore e l’affetto dei propri cari. I ricordi sono l’unica salvezza e custodirli diventa l’unico scopo. Ma su questo ultimo punto Mencìa non concorda. La matriarca, la nonna novantenne, diventa il centro nevralgico della loro disperazione. Donna energica non si fa sopraffare da nessuno, con modi bruschi e sfacciati, accompagnati da una lingua tagliente, mette a dura prova le loro emozioni costringendole a guardare in faccia la vita, la loro vita, con coraggio, senza tentennamenti.

Helena, figlia e nipote, scomparsa da poco, è la spina nel fianco, con cui il dolore le pungola ogni giorno. Figura centrale anch’essa dell’intero romanzo, onnipresente nei loro occhi, nei loro ricordi, nella loro disperazione. Personaggio controverso, amata e odiata, ha con la sua scomparsa sconvolto i già precari equilibri familiari. Rapporti irrisolti e cose non dette, sono il rammarico più grande per Lìa, madre disperata che non vuole e non può accettare la scomparsa dell’amata figlia. E chi può aiutare una madre se non un’altra madre? Mencìa con le sue idee strampalate le convince a fare una gita al faro, un luogo saturo di ricordi del passato, e quindi adatto per piangere chi è venuto meno. Le costringerà ad affrontare, ognuna a modo suo, i demoni che attanagliano la loro anima. Perché lei prima di essere nonna, madre, è una donna. Conosce bene l’animo femminile.

Come aiutare le nipoti e le figlie? Il tempo stringe, ormai la sua vita terrena è arrivata agli sgoccioli, non le resta molto, resta solo la consapevolezza che “a novant’anni si perde il pudore e, quando non c’è pudore, saltano fuori le verità scomode, le magagne”. E passo dopo passo scorre, tra una rivelazione e un’altra, il passato di ognuna, scoprendo verità scomode e riaprendo vecchie ferite. Al dolore non c’è mai fine, e quando una nuova tragedia si abbatte sulle loro esistenze, non resta altro che soccombere. Non ci sono più lacrime, la vita ha presentato il conto, e a pagarlo, questa volta, tocca all’anima più innocente. Mencìa non accetta un domani senza il suo angelo e invoca ogni giorno quella morte che tarda ad arrivare, perché lei ha fatto una promessa e vuole mantenerla a tutti i costi. Mencìa resta il mio personaggio preferito. Ha amato e odiato con la stessa intensità. La verità è il suo mantra. Ma la sua natura dolce, sensibile, emerge per il suo pronipote, un rapporto intenso li lega, fatto di battute e passioni in comune, risate e chiacchiere.

Due mondi all’apparenza lontani, ma legati indissolubilmente da un affetto, un amore che supera tutte le barriere. Le pagine dedicate al loro rapporto sono molto toccanti, commoventi, e ci regalano un’immagine d’amore che va al di là dell’età, della vita e della morte. La vita toglie ma allo stesso tempo dà, e sarà la nascita di una nuova vita a donare a tutte una speranza, un punto da cui ripartire. Non nego che mi sono molto commossa, specie verso la fine. Trama intensa, che mi ha coinvolto dalle prime battute. Narrazione ricca di dialoghi che animano e sostengono un racconto dai risvolti a volte drammatici. Ma in fondo è vita ”vera” quella descritta da Palomas, esperienze che, purtroppo, accomunano molti. Esilarante e ironico in molti punti, evidenzia la capacità di intrattenitore dell’autore, mostrandoci anche l’altro lato della medaglia. Si può ridere e scherzare anche durante una tragedia, la vita è fatta di alti e bassi, e nulla ci vieta di cogliere ogni occasione per rialzarci con il sorriso sulle labbra, perché come dice Mencìa , citando Pablo Neruda, “Confesso ho vissuto”.

SCHEDA DELL’EDITORE
Nonna Mencía ha un braccio rotto e novant’anni. E a novant’anni, si sa, si perde il pudore e allora affiorano le verità scomode, le magagne, i segreti più crudeli, come quello che per anni è riuscita a nascondere alle figlie. Flavia ha accolto Mencía a casa sua, l’ha vista invecchiare e perdere la memoria. Dovrebbe odiarla visto che, un giorno di tanti anni fa, ha posto fine all’unica storia d’amore della sua vita. Ma Mencía è pur sempre sua madre, e poi l’esistenza è un gioco strano e forse lei ha giocato male le sue carte. Lía accudisce amorevolmente tutti, la madre Mencía, le figlie Beatriz e Inés, ma non riesce a superare il dolore per la scomparsa di Helena, la sua prima figlia. Helena, silenziosa e bella nella sua precarietà. Helena, innamorata del padre e del mare. Navigavano insieme come due meduse mute, due porte chiuse della stessa soffitta. E tornavano dalle loro gite in barca radiosi ed esausti. Un giorno, però, Helena si è avventurata in mare da sola e non è piú tornata. Beatriz, invece, è rientrata a casa in un giorno di pioggia e non vi ha piú trovato Arturo, suo marito. La casa era vuota. Non un solo mobile, né un quadro, e nemmeno una pianta. Niente. Solo uno squallido, laconico biglietto d’addio. Inés, infine, ha una strana luce sul viso da quando Sandra, un paio di occhi neri come due sentieri che si incrociano nel folto del bosco, è sbucata a tradimento, come una nube in tempesta, nella redazione del giornale in cui lavora.
Mencía, Flavia, Lía, Beatriz, Inés: cinque donne spagnole della stessa famiglia e di tre diverse generazioni, cinque donne che si incontrano in una casa della zona ovest di una Minorca autunnale, circondata dal mare come un tappeto di lana grossa e azzurra, per mostrare che, al di là dei tempi e dei mutamenti, il cuore delle donne non si lascia facilmente abbattere dai colpi della vita.

Katja Macondo

Pensieri su Sandro Emanuelli

Sandro, Sandrone. Amava tanto le avventure che, quando era ragazzo, lo chiamavamo Napoleone, forse perché condivideva con l’imperatore dei Francesi una certa megalomania, non nel senso di una grande follia (come l’intendevamo noi ragazzi) ma nel senso di un grande desiderio di avventura.
Per cercare di inquadrare l’inquadrabile, cioè lui, Sandro, dobbiamo pensare alla sua avventura in quello che veniva considerato allora – dalla fine degli anni 1960 alla fine degli anni 1990 – l’Oriente Misterioso (Cina, Malesia, India, Australia, ma anche Sud Africa, i paesi del Nord Africa, e tanti altri). Certo lui, Sandro, continuò a lavorare in quei paesi anche dopo, ma ormai si trattava di un mercato noto, con le sue regole e le sue consuetudini che forse lo stesso Sandro aveva contribuito ad impiantare.

Quali erano queste regole e consuetudini? La Cina ad esempio – paese di cui Sandro parlava continuamente – aveva l’abitudine di mandare a prendere, con macchine equivalenti alle limousine americane, i rappresentanti di cui si fidava. E naturalmente Sandro era fra questi. Ma come si giungeva a tanto? Come nasceva questa fiducia?

Sandro, pur nella sua ridondante eloquenza, non ce lo ha mai spiegato veramente. Secondo lui, che ci spiegava il perché di questo inusuale comportamento, questa fiducia nasceva dalla sua abilità di negoziatore, che i cinesi stimavano moltissimo… e noi ci dobbiamo fidare di questa sua interpretazione, perché anch’essa fa parte di quel suo bagaglio personale, quel bagaglio che voglio descrivere qui. Perché era considerato un po’ megalomane da noi, che eravamo suoi amici, quando eravamo ragazzini se in fondo tutti esageravamo un po’ il significato, soprattutto sociale, delle nostre o bravate o avventure. Allora ci si deve chiedere il perché della nostra considerazione di Sandro. E, se ci penso, nasce proprio dal modo in cui veniva considerato in famiglia, da una madre molto pratica, la signora Mercedes, con le mani d’oro, che tutto quello che faceva le veniva bene, la quale gli riservava l’affetto per un figlio un po’ ‘bagolone’, che non si sa né come spiegare né come prendere.

E poi c’era il padre di Sandro, Mario, anche lui persona molto intelligente e pratica, ma che non si poneva, apparentemente, il problema di come fosse il figlio, purché rispondesse a quei canoni di successo professionale che lui riteneva indispensabili nella vita! E Sandro, che come tante persone estrose e tendenzialmente di successo, non ha imparato niente dalla scuola tradizionale dove l’avevano mandato i suoi nell’estremo tentativo di imbrigliarne la forte personalità, ha passato tutta la sua vita a cercare, di realizzare a suo modo i sogni dei genitori. Me l’ha rivelato una frase che mi ha detto recentemente, quando, raccontandomi della Cina, mi disse: “Avrei voluto che mia madre mi vedesse.” Infatti lui, anche nell’azienda, che faceva degli ottimi vetri industriali, in cui era entrato a lavorare, con una qualifica bassa, si era messo presto in luce come persona con delle doti di intraprendenza e sapere che mal si adattavano alla nostra società, così strutturata. E così aveva incontrato il vecchio patriarca e fondatore dell’azienda, il quale, dopo un po’, avendole comprese, cercò di sfruttare al meglio le potenzialità della sua personalità.

E lo spedì in Asia , dopo che lui era già stato in molti altri posti del mondo, nelle sue esperienze lavorative precedenti. E in Asia – e soprattutto grazie alla sua esperienza cinese – si conquistò anche tutti la posizione economica che la lungimiranza del patriarca gli riservò, andando spesso a verificare sul campo, vale a dire in Sud Africa o in Cina, Hong Kong, le informazioni sul lavoro di Sandro che lui stesso gli forniva. E non gli lesinò niente, comprendendo che – anche se i suoi figli non erano d’accordo – solo così lo si poteva stimolare. E Sandro, essendo persona molto affidabile e fidata, lo ricambiò sia con l’affetto di un figlio, sia col suo modo, contemporaneamente aggressivo e rispettoso, di lavorare. Bisognava fare però sempre la tara dei suoi racconti. Una tara che doveva tenere conto della sua forte personalità che veniva stimolata dal rischio. Insomma anche ascoltando le sue avventure, si imparava a vivere, perché si doveva capire quanta parte di esse fosse espressione della sua fantasia, e quanta parte rispondesse ad un verità forse un po’ addomesticata, ma reale! Perché spesso le persone come lui sapevano come raccontare le storie, sapevano come stimolare il desiderio di avventura che c’è in ciascuno di noi e, fra l’altro, non c’è stato evento mondiale che non l’abbia visto almeno spettatore

Aveva due grandi amori: il mare e le donne. Il mare lo amò sempre nella sua vita. Straordinariamente incredibili, ma vere, sono le storie che riguardano la sua giovinezza, passata a bordo o di navi di piccolo cabotaggio o di grandi transatlantici e al Nautico di Piazza Palermo (forse l’unica scuola che gli piacque davvero). Riciclandosi alla modernità le storie che ha raccontato, relative all’ ultimo periodo della sua vita, riguardavano sia amicizie con personaggi del mondo marinaro sia modi per utilizzare Internet, sia posizioni specifiche che Sandro pensava di poter ricoprire nel monitoraggio del Mar Mediterraneo. Intanto se la godeva su di un’isola dal passato ligure che del mare e dei suoi prodotti aveva fatto un mito. Naturalmente però il tema più intrigante, è quello delle “donne”. Anche in questo caso quest’amore nasceva da una specie di desiderio di normalità. Perché “specie di”? Perché si era sposato, forse troppo giovane di testa, se non di età, in un tempo in cui lo sposarsi era il segno che uno che aveva “messo la testa a posto” e che abbandonava tutte le fantasie e le pulsioni della giovane età, per entrare nella maturità

E in invece per lui tutto stava per cominciare, anche se gli mancò sempre l’affetto stabile di una donna! Soprattutto quando sì ritirò a vivere la sua pensione nell’isoletta di S. Piero, a sud della Sardegna, mentre ormai il suo matrimonio era completamente franato. Anche nel caso del dove passare la sua pensione Sandro fece una mossa che spiazzò tutti, vale a dire tutti coloro che si aspettavano da lui un comportamento più tradizionale, cioè quello di un pensionato che si ritirava a vivere in una sua casa e che forse avresti potuto incontrare ai giardinetti che raccontava le sue avventure che nessuno ascoltava più. E Invece lui voleva essere ascoltato! La sua personalità era talmente esuberante che, dopo un primo periodo in cui Carloforte gli mostrò la parte ligure, cioè scontrosa e riservata, della personalità (mezza e mezza, per ragioni storiche) dei suoi abitanti, poi si sciolse nella sardità più generosa, accogliendolo a tutti i livelli: dal sindaco al macellaio dietro l’angolo.

Ci andavo tutti gli anni, a trovarlo. Mi piccavo di farlo per antico affetto invece ci andavo per sentirne raccontare le storie e per criticare la sua “creduloneria”. “Creduloneria”perché, sempre nell’assunto che esagerasse molto sulle sue esperienze, riteneva di essere molto amato da tutte le donne che glielo dicevano. Anche via Internet. Pensavo che, more solito, non si rendesse conto del suo sbaglio, mentre ero io che non avevo capito come funzionasse il mio amico, che era davvero molto amato. Fu così generoso e abile da conquistare anche il cuore non solo di un ufficiale della capitaneria di porto locale, che si comportò sempre con lui come un figlio, ma anche di tutta la sua giovane famiglia. Ora non c’è più e se ne è andato col vestito più bello, quello dell’affetto delle persone che lo vedevano sempre e gli stavano più vicine! Se ne è andato, sempre circondato di sentimenti positivi e inusuali. Così come aveva vissuto.

Adele Maiello

Recensione libro “Le regole del tè e dell’amore” di Roberta Marasco

Inizia così la sinossi, “L’amore di Elisa per il tè risale alla sua infanzia…”, ed è questo amore per il tè il leitmotiv dell’intero romanzo di Roberta Marasco, che ha iniziato a scrivere per vivere le proprie emozioni e tornare a credere nei sogni. La cultura millenaria che ruota intorno a questa gustosa ed intensa bevanda ambrata, ci viene donata con grazia, versata con delicatezza, e offerta con umiltà. Ad ogni capitolo una scoperta, un piccolo vademecum per noi comuni mortali che conosciamo solo il tè in bustina. Le proprietà benefiche, il colore, la coltivazione, le curiosità, i trattamenti, gli utilizzi sono parte della storia, ci vengono donate come piccole perle di saggezza. Elisa, la protagonista, ci prende per mano e ci conduce nella sua vita, della sua infanzia. Ricordi tristi, lieti, gioiosi sono tutti accomunati da una buona tazza di tè.

È stato in questo modo che la madre le ha insegnato l’amore per il tè. “È impossibile condividere un tè con qualcuno senza avere la sensazione di aver condiviso qualcosa di molto più intimo. Il tè trasforma chi lo beve. Gli spigoli si arrotondano, le parole escono più naturali, ci si sente più liberi e meno impacciati. Ci si sente improvvisamente a casa. Elisa aveva assistito a quella magia per anni.” Elisa è combattuta, dopo la morte della madre e della zia, si ritrova sola e con tante domande a cui dare una risposta. Non conosce parte del suo passato, non conosce le proprie origini, tutto è avvolto dal mistero, e sarà proprio la scoperta di una vecchia scatola di latta contenente del tè, a riportarla là dove tutto è cominciato, a Roccamori.

Una storia fragile, come sono fragili le foglie essiccate del tè. Un po’ ai margini del romanzo, Elisa non è la protagonista, lo sono tutti i personaggi che di volta in volta si affacciano e raccontano la loro versione, la loro vita. Un susseguirsi di passaggi dai toni lievi, mesti, molto delicati. Gli errori del passato sono ferite aperte, porvi rimedio è impossibile, e lo sanno bene gli abitanti di Roccamori, che vengono spesso chiamati in causa per ciò che è stato. Il dolore non scompare, si può attenuare, ci si può convivere, ma nulla mai potrà cancellarlo. Le vicende si alternano tra passato e presente, tra mito e leggenda, tra verità e mistero. Elisa, esperta conoscitrice di tè, resta incantata dalla meravigliosa varietà di camelie presenti e coltivate nell’antica dimora di Vittoria, un’anziana signora del borgo, che ha la consuetudine di offrire alle donne di Roccamori, ogni pomeriggio, il tè nel giardino.

Ammaliata da questo antico rito, e incuriosita, Elisa avrà modo di conoscere le signore del borgo, e tra un sorso di tè ed un altro, verrà messa al corrente delle loro storie e quelle del passato glorioso del paese. Antiche leggende aleggiano ancora tra le mura della dimora, intrecciate a filo doppio con le vite di tutti loro. Amori inconsolabili, amori profondi e da tempo perduti, dal sapore dolce amaro, fanno da sfondo ai misteri che ruotano intorno al passato della madre. Ma come qualsiasi buon tè, ha bisogno di un tempo di infusione, e se è buono ti rimane il sapore fra i denti, come dicono i cinesi, e non te lo scordi più.

E questa storia è buona, ha bisogno di tempo, non è invadente, deve essere assaporata con pazienza, gustata con attenzione. Una lettura gradevole, di compagnia, che mi ha donato tanto. Prosa delicata, che lascia il segno. Un libro da regalare a chi crede nell’amore e non ha il coraggio di viverlo appieno, perché  “Il vero amore non era facile da trovare, non si lasciava fotografare. Il vero amore era scritto nelle rughe delle persone, sul fondo dei loro sguardi, nella fatica di un gesto. Il vero amore si nascondeva nei posti più impensati, in una tazzina da caffè, in una michetta alla cannella e all’anice, sotto la neve che scendeva in primavera. Fra i petali di una camelia gialla che restava fiorita solo pochi giorni all’anno”.

SCHEDA DELL’EDITORE
Gli amori grandi non dovrebbero avere un tempo, sono come l’aria, come l’acqua, come il cibo. Sono il sapore del mondo, che ti resta fra i denti, come dicevano i cinesi del tè. E quando finiscono ci lasciano da soli con i nostri errori, perché li abbiamo dati per scontati, senza controllare l’orologio. Ma l’orologio, con gli amori grandi, non serve, basta il ticchettio della lancetta dei secondi, basta lasciar scorrere gli istanti senza pensarci. Perché, se ci pensiamo, allora significa che il ticchettio è appena cessato.  L’amore di Elisa per il tè risale alla sua infanzia. È stata sua madre a insegnarle tutte le regole per preparare questa bevanda e ad associare, come per gioco, ogni persona a una varietà di tè. Daniele, il suo unico grande amore, è tornato dopo tanto tempo.

Ma Elisa ha imparato da sua madre a non fidarsi della felicità, a non lasciarsi andare mai, perché il prezzo da pagare potrebbe essere molto alto. Prima di tutto dovrà trovare se stessa, poi potrà capire se Daniele può renderla felice. Quando trova per caso una vecchia scatola di tè con un’etichetta che riporta la scritta “Roccamori”, il nome di un antico borgo umbro, Elisa ne è certa: si tratta del tè proibito della madre, quello che le fece provare solo una volta e che, lei lo sente, nasconde più di un segreto. Forse proprio lì, in quel borgo antico, Elisa potrà trovare le risposte che cerca e imparare a lasciarsi andare e a fidarsi dell’amore, guidata dall’aroma e dalle regole del tè…

L’AUTRICE
È una traduttrice che un giorno si è accorta di aver trascurato le proprie emozioni. Per la fretta, le aveva tutte cacciate da qualche parte dentro di sé, proprio come si fa con gli oggetti che non si ha il tempo di rimettere in ordine. Le emozioni, però, tornano a galla, e le sue lo facevano cogliendola alla sprovvista e commuovendola nei momenti meno opportuni. Ha iniziato a scrivere per questo, per vivere le proprie emozioni e tornare a credere nei propri sogni. Per saperne di più visita la sua pagina Facebook o il suo blog “Rosa pe rcaso”.

Katja Macondo

Recensione libro “La logica del lupo” di Alex Lake

Quante volte ci è capitato di fare tardi ad un appuntamento? Troppo impegnati a risolvere un problema dell’ultimo minuto, o semplicemente perché siamo incappati in un ingorgo, o in una fila chilometrica alla cassa del supermercato… A quante donne sarà capitato? Tantissime! Sempre di corsa, in una lotta perenne contro il tempo. Quel tempo che scandisce ogni secondo della giornata, che ti fa sentire inadeguata come madre e come donna. E questa è esattamente la situazione che sta vivendo Julia, giovane avvocato alle prese con un divorzio e con la responsabilità di una figlia.

È facile, quindi, commettere un errore, e un semplice ritardo può rivelarsi fatale. Anna, la figlia di Julia, una bambina di cinque anni è sparita nel nulla, volatilizzata. Il tutto davanti ai cancelli della scuola, nessuno ha visto e sentito nulla. Come è possibile rapire una bambina in pieno giorno e non essere notati o ripresi in alcun modo? Queste sono le tante domande che si pongono i genitori di Anna e gli investigatori che stanno cercando di far luce su un rapimento così anomalo. Pensieri spaventosi assillano Julia, immagini cupe che cominciano a prendere forma nella sua testa man mano che le indagini procedono. Nulla sembrava presagire un fatto così spaventoso, e tutti possono essere i colpevoli. Gli inquirenti si soffermano sul loro passato, sulla loro vita privata, sugli attriti, sull’imminente divorzio; e la stampa, nel frattempo, viene a conoscenza di alcune rivelazioni e scatena una aggressione mediatica nei confronti di Julia, unica colpevole agli occhi dell’intera società.

Quando nasce un figlio, nasce anche la paura. Solo chi è madre o genitore può comprendere questa sensazione, che dal giorno della nascita di un figlio, non ti abbandonerà più, e non importa se gli anni passano, se invecchiamo, la paura resta sempre lì, costantemente. Quante volte abbiamo detto o pensato “L’ho perso!”, può capitare su una spiaggia affollata, in un supermercato, al parco, ovunque, in un attimo e la nostra vita si svuota di colpo, nulla ha più importanza. Una parte di te non c’è più, è sparita. Le conseguenze sono troppo spaventose, e soffermarsi significa impazzire di dolore. La paura ti inonda l’anima e il corpo si contorce in un’unica morsa di dolore, anche respirare diventa una fatica. Preghi che non sia vero, prometti che non accadrà più, che sarai più attenta, e non lo perderai mai più di vista, neanche per un secondo. Julia è ossessionato dalle più tragiche conclusioni possibili. “Che sia perduto per sempre. Vivo o morto poco importa: non lo rivedrai più e non smetterai mai di cercarlo. Vivrai rimpiangendo quell’attimo di distrazione.” Cominci a riflettere sui limiti del tempo e dello spazio, avendo la consapevolezza di non poter essere in più posti nello stesso momento.

E questo ti procura un dolore insopportabile. La compassione che leggi sui volti di chi conosce il tuo dramma rende la situazione ancora più insostenibile. Non è il giudizio degli altri che ti importa, l’unico pensiero che ti assilla è trovare tua figlia. Perché a questo punto potrebbe essere ovunque, in mano a chissà chi, esseri malvagi capaci di far soffrire pene inimmaginabili alla tua bambina, trafficanti di bambini, pedofili.  “Quando leggeva queste cose sul giornale, Julia pensava che per i genitori fosse come veder morire un figlio. Adesso, però, si rendeva conto che era molto peggio: non c’era solo il dolore della perdita, ma anche la possibilità che il figlio stesse soffrendo pene inimmaginabili. Era peggio. Infinitamente peggio.” Un thriller dai contorni ambigui, il vero protagonista non è il carnefice, ma la madre con tutti i suoi tormenti. Il lupo gode nel vedere la sua vittima cedere, indugiare, dubitare anche di sé stessa.

È l’annientamento che lui cerca, l’unico suo scopo è toglierle tutto ciò a cui tiene di più, perché “Non tutti sono come te. Non tutti sono spinti dalle giuste motivazioni. Da fuori, potrebbe anche sembrare che tu sia come loro, che siate tutti sequestratori e assassini, ma non è così. Gli altri sono delinquenti rozzi e spregevoli. Quello che fai tu è diverso. È nobile. È necessario. È giusto. Ma non puoi aspettarti che la gente capisca.” Il ritmo lento non ha scoraggiato la mia lettura, anzi, ha nutrito le mie più profonde paure. Mi sono rispecchiata nei pensieri di Julia, mi sono sentita dentro la storia, coinvolta psicologicamente. Il filo conduttore è stato teso con intelligenza, i protagonisti ben delineati, con le loro debolezze, i contrasti e le loro delusioni. Un mix perfetto che ha alimentato il lupo, in agguato e pronto ad infierire il colpo mortale alla sua vittima predestinata. Come ogni thriller che si rispetti, non mancano colpi di scena e un finale mozzafiato, il tutto racchiuso un po’ frettolosamente nell’ultima parte del libro; un thriller psicologico anomalo, e per questo forse da leggere per esorcizzare le nostre angosce e per placare le nostre inquietudini.

Ringrazio la Neri Pozza per l’invito alla lettura.

SCHEDA DELL’EDITORE

Julia Crowne, avvocato divorzista, un matrimonio giunto ormai al capolinea, un’esistenza divisa tra l’essere una brava madre e una valente professionista, è alla guida della sua Volkswagen Golf diretta alla scuola della figlia. È in ritardo. L’incontro tra una sua assistita e la controparte si è protratto più del previsto, e Julia immagina già con ansia lo sguardo severo e seccato con cui la maestra di Anna, la sua bambina, l’accoglierà all’uscita della scuola. Minuta, capelli scuri, zainetto di Dora l’esploratrice sulle spalle e scarpette di pelle nera ai piedi, Anna varca i cancelli dell’istituto con i compagni e si guarda intorno in cerca di sua madre. Qualcuno la osserva. Qualcuno che dapprima si chiede come si possa essere così negligenti da lasciare sola una bimba di cinque anni, e poi agisce con risolutezza. Rapisce la bimba, la porta via con la logica di chi non si pone problemi riguardo a cosa è giusto o ingiusto, con la logica… del lupo che sbrana l’agnello senza alcun rimorso.

Trascorreranno ore angosciose in cui la polizia brancolerà nel buio e la tensione tra Julia e suo marito Brian, alimentata da rivelazioni scottanti sulla vita privata della giovane donna, rivelazioni misteriosamente pervenute alla stampa, giungerà a un punto di non ritorno. Finché un giorno non ricomparirà la piccola Anna, senza alcun segno di violenza addosso, senza ricordo del tempo della sua sparizione, se non la vaga memoria di una grande casa delle bambole in cui le parrà di aver dormito. Una ricomparsa inspiegabile per la logica comune, ma non per quella di un lupo, e dei suoi scopi perversi e crudeli.

Con La logica del lupo Alex Lake – pseudonimo dietro cui si nasconde un celebre scrittore inglese – consegna al lettore una storia avvincente e realistica sulla rete di pressioni, timori e drammi che si dipana attorno alla scomparsa di un minore, travolgendo la vita delle persone coinvolte. Un thriller psicologico mozzafiato, che mette in scena una delle paure più concrete e inquietanti del nostro tempo.

Katja Macondo