Recensione libro “Tanta vita” di Alejandro Palomas

Lo stesso Alejandro Palomas mi ha consigliato di leggere “Tanta vita”, la sua opera preferita, quella che gli ha rubato l’anima. E questo si è sentito, si è percepita tutta la sua fatica, tutto il suo trasporto emotivo, e la sua passione per il suo lavoro, in questo intensissimo romanzo. Quello che balza subito all’occhio è la capacità di Alejandro Palomas di immedesimarsi nell’universo femminile. Il gioco dei ruoli mette in luce le diverse caratteristiche delle donne che popolano il romanzo, diverse per età, per condizione sociale e per esperienze vissute. Ognuna chiusa nel proprio labirinto, alla perenne ricerca dell’uscita da una vita che non rispecchia in pieno i sogni e le aspettative.

Le diverse voci narranti ci mettono di fronte a queste cinque donne, in un momento particolare della loro vita. Un recente lutto ha messo a dura prova il loro rapporto, distruggendo quelle poche certezze alla base della loro vita.

Il dolore è troppo grande anche per esternarlo, meglio soffrire in silenzio, rinnegando l’amore e l’affetto dei propri cari. I ricordi sono l’unica salvezza e custodirli diventa l’unico scopo. Ma su questo ultimo punto Mencìa non concorda. La matriarca, la nonna novantenne, diventa il centro nevralgico della loro disperazione. Donna energica non si fa sopraffare da nessuno, con modi bruschi e sfacciati, accompagnati da una lingua tagliente, mette a dura prova le loro emozioni costringendole a guardare in faccia la vita, la loro vita, con coraggio, senza tentennamenti.

Helena, figlia e nipote, scomparsa da poco, è la spina nel fianco, con cui il dolore le pungola ogni giorno. Figura centrale anch’essa dell’intero romanzo, onnipresente nei loro occhi, nei loro ricordi, nella loro disperazione. Personaggio controverso, amata e odiata, ha con la sua scomparsa sconvolto i già precari equilibri familiari. Rapporti irrisolti e cose non dette, sono il rammarico più grande per Lìa, madre disperata che non vuole e non può accettare la scomparsa dell’amata figlia. E chi può aiutare una madre se non un’altra madre? Mencìa con le sue idee strampalate le convince a fare una gita al faro, un luogo saturo di ricordi del passato, e quindi adatto per piangere chi è venuto meno. Le costringerà ad affrontare, ognuna a modo suo, i demoni che attanagliano la loro anima. Perché lei prima di essere nonna, madre, è una donna. Conosce bene l’animo femminile.

Come aiutare le nipoti e le figlie? Il tempo stringe, ormai la sua vita terrena è arrivata agli sgoccioli, non le resta molto, resta solo la consapevolezza che “a novant’anni si perde il pudore e, quando non c’è pudore, saltano fuori le verità scomode, le magagne”. E passo dopo passo scorre, tra una rivelazione e un’altra, il passato di ognuna, scoprendo verità scomode e riaprendo vecchie ferite. Al dolore non c’è mai fine, e quando una nuova tragedia si abbatte sulle loro esistenze, non resta altro che soccombere. Non ci sono più lacrime, la vita ha presentato il conto, e a pagarlo, questa volta, tocca all’anima più innocente. Mencìa non accetta un domani senza il suo angelo e invoca ogni giorno quella morte che tarda ad arrivare, perché lei ha fatto una promessa e vuole mantenerla a tutti i costi. Mencìa resta il mio personaggio preferito. Ha amato e odiato con la stessa intensità. La verità è il suo mantra. Ma la sua natura dolce, sensibile, emerge per il suo pronipote, un rapporto intenso li lega, fatto di battute e passioni in comune, risate e chiacchiere.

Due mondi all’apparenza lontani, ma legati indissolubilmente da un affetto, un amore che supera tutte le barriere. Le pagine dedicate al loro rapporto sono molto toccanti, commoventi, e ci regalano un’immagine d’amore che va al di là dell’età, della vita e della morte. La vita toglie ma allo stesso tempo dà, e sarà la nascita di una nuova vita a donare a tutte una speranza, un punto da cui ripartire. Non nego che mi sono molto commossa, specie verso la fine. Trama intensa, che mi ha coinvolto dalle prime battute. Narrazione ricca di dialoghi che animano e sostengono un racconto dai risvolti a volte drammatici. Ma in fondo è vita ”vera” quella descritta da Palomas, esperienze che, purtroppo, accomunano molti. Esilarante e ironico in molti punti, evidenzia la capacità di intrattenitore dell’autore, mostrandoci anche l’altro lato della medaglia. Si può ridere e scherzare anche durante una tragedia, la vita è fatta di alti e bassi, e nulla ci vieta di cogliere ogni occasione per rialzarci con il sorriso sulle labbra, perché come dice Mencìa , citando Pablo Neruda, “Confesso ho vissuto”.

SCHEDA DELL’EDITORE
Nonna Mencía ha un braccio rotto e novant’anni. E a novant’anni, si sa, si perde il pudore e allora affiorano le verità scomode, le magagne, i segreti più crudeli, come quello che per anni è riuscita a nascondere alle figlie. Flavia ha accolto Mencía a casa sua, l’ha vista invecchiare e perdere la memoria. Dovrebbe odiarla visto che, un giorno di tanti anni fa, ha posto fine all’unica storia d’amore della sua vita. Ma Mencía è pur sempre sua madre, e poi l’esistenza è un gioco strano e forse lei ha giocato male le sue carte. Lía accudisce amorevolmente tutti, la madre Mencía, le figlie Beatriz e Inés, ma non riesce a superare il dolore per la scomparsa di Helena, la sua prima figlia. Helena, silenziosa e bella nella sua precarietà. Helena, innamorata del padre e del mare. Navigavano insieme come due meduse mute, due porte chiuse della stessa soffitta. E tornavano dalle loro gite in barca radiosi ed esausti. Un giorno, però, Helena si è avventurata in mare da sola e non è piú tornata. Beatriz, invece, è rientrata a casa in un giorno di pioggia e non vi ha piú trovato Arturo, suo marito. La casa era vuota. Non un solo mobile, né un quadro, e nemmeno una pianta. Niente. Solo uno squallido, laconico biglietto d’addio. Inés, infine, ha una strana luce sul viso da quando Sandra, un paio di occhi neri come due sentieri che si incrociano nel folto del bosco, è sbucata a tradimento, come una nube in tempesta, nella redazione del giornale in cui lavora.
Mencía, Flavia, Lía, Beatriz, Inés: cinque donne spagnole della stessa famiglia e di tre diverse generazioni, cinque donne che si incontrano in una casa della zona ovest di una Minorca autunnale, circondata dal mare come un tappeto di lana grossa e azzurra, per mostrare che, al di là dei tempi e dei mutamenti, il cuore delle donne non si lascia facilmente abbattere dai colpi della vita.

Katja Macondo

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