Poesie: “Dove”

Portami dove corrono le nuvole
dove l’unico rumore è il vento
dove l’unico colore è il blu del cielo
dove non c’è terra,
ma solo mare
dove mai nessuno
è stato

né mai ci sarà.
Portami
dove non c’è il male,
perché è lì
che corrono le nuvole.

Toni Capello

Poesie: “Toni diversi”

Quando meno te lo aspetti,
come quella goccia che dal cielo colpisce proprio te,
ti capita di ritrovare l’uomo di dentro.
Lui
è quello
che come un genitore apprensivo,
ti ha aspettato a lungo
sveglio
ed ora
vuole solo assopirsi quieto
magari per sempre
come succede dopo aver fatto bene l’amore.

Toni Capello

Lettera a Babbo Natale

Caro Babbo Natale,
ti scrivo perché, come ogni anno, sta arrivando il tuo giorno. Il giorno in cui tu doni un po’ di gioia nei cuori delle persone, il giorno in cui, ai più piccoli, porti giocattoli e balocchi. Io non sono più un bambino e i doni “materiali” non li desidero. Desidero, invece, questo: viviamo in un periodo di profonda crisi, malcontenti e la gente è disperata. Non si trova lavoro, si arriva a stento a fine mese. Sentiamo di anziani costretti a rubare nei supermarket, perché hanno fame, perché con 300 € di pensione al mese non riesce a comprare da mangiare. Esistono persone che, non volendo arrivare a tanto, non toccano cibo per interi giorni oppure si limitano ad una tazza di latte.

Sono innumerevoli le famiglie in cui uno solo dei componenti lavora, spesso un lavoro umile e sottopagato. Orari impossibili, straordinari, tutto per portare a casa un misero stipendio, per poter sfamare i figli e il coniuge disoccupato. Caro Babbo Natale, io son fortunato. Vivo con i miei genitori, hanno un lavoro entrambi e mi danno molto, tutto ciò di cui ho bisogno. Non lavoro ancora purtroppo, ma sono ottimista nel pensare che un lavoro lo troverò e mi permetterà anche di restituire tutti i sacrifici che i miei genitori hanno fatto per me. Per questo non ti chiedo nulla, solo di portare gioia e buone notizie alle persone che lo meritano, alle persone che più ne hanno bisogno, quelle che, pur con niente si danno da fare. Ti chiedo di poter dare la possibilità a tutti coloro che cercano un lavoro, di trovarlo, ti chiedo di intercedere affinché ogni impresa possa sopravvivere e non fallire. Ti chiedo di portare un pasto caldo ogni giorno a chi non ha le possibilità di averlo. Ti chiedo questo, niente per me.

Confido in te.

Grazie,

Daniel Incandela

Pensiero violento

Primo dicembre 2014. Ultimo, ma sicuramente non ultimo, caso estremo di violenza sfociato in omicidio. Un piccolo di 8 anni ucciso da un soggetto non definito, ancora ignoto. Una piccola vita innocente strappata a questo mondo sempre più crudele e distruttivo nei confronti di se stesso. Solo una delle tante, troppe, ultime vicende. Perché ormai, non si contano più i casi come questo. E non solo in Italia. Viviamo in un mondo sempre più indecente. Ogni giorno sentiamo di gente che viene maltrattata, fisicamente e psicologicamente. Giusto di questi giorni è la notizia che varie persone di colore son state uccise negli U.S.A., i “mentalmente apertissimi” Stati Uniti, dove un’apparente civiltà, spesso inarrivabile ai nostri occhi, nasconde crimini tra i più efferati. In India, invece, esistono ancora le caste, come quella degli “intoccabili” che non vengono considerati dalla società, anzi. Vengono visti come “pattume”, contro ogni convenzione dei diritti umani.

In Italia femminicidi, omofobia, infanticidi e stupri. Per non parlare del terrorismo, islamico e non, che crea solo morti o disagi. Le guerre inter religiose, le guerre “sante” (che di santo non hanno assolutamente nulla), le visioni distorte della religione stessa. Ogni cosa in questo mondo crea disagio. Eppure? Sembra tutto così normale. Si parla di un omicidio come si parla di calcio. Nessuno che si indigna. Non ci facciamo neppure più caso, siamo vaccinati. Ci si muove per cose frivole, ma per i diritti essenziali poco e nulla. Ad esempio, davanti ad una persona a terra ferita, in molti casi si pensa “In fondo non mi riguarda”. E’ successo in una bellissima città italiana, Napoli, che un uomo venisse colpito da diversi colpi di pistola e chiedesse aiuto ai passanti poiché ferito in modo serio (nei tg si vedeva un video in cui aveva una ferita evidente al fianco, da cui perdeva molto sangue) e nessuno si è fermato ad aiutarlo. Paura? No, semplicemente disinteresse. Stessa cosa succede all’estero. Si chiede aiuto e nessuno o quasi, fa nulla. Però…. ci si picchia per il calcio, si crea scompiglio se una squadra ha vinto o perso, ci si indigna per un arbitraggio un po’ “sui generis”, o se qualcuno ci passa davanti alla cassa del supermercato. Ma per le cose importanti sii guarda a tutto con sufficienza o disinteresse. E non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Nessuno muove un dito perché hanno ucciso un bambino a Ragusa, nessuno ha mosso un dito mentre uno stalker ha sfregiato con l’acido una donna che voleva fosse sua. Come nessuno ha mosso un dito quando ha visto soffocare da un agente un uomo mentre veniva ammanettato negli U.S.A. Personalmente mi è capitato anche di vedere una persona a terra svenuta e nessuno che ha prestato soccorso. Mi son fermato solo io insieme ad un’altra persona. Ma è giusto questo? Se tutti ci indignassimo un po’ di più per i nostri diritti vitali, sicuramente vivremmo in un mondo migliore. Ma finché ci mobilitiamo solo se il Milan, la Juve o l’Inter o chicchessia vince o perde….Beh, significa che vogliamo e meritiamo un mondo così, un mondo senza diritti né interessi veri.

Daniel Incandela

Siamo tutti un po’ social

Che belli i social network. Quelli come Facebook, Twitter, Instagram… quelli che danno la possibilità di colloquiare con persone in tutto il mondo, senza muoversi da casa. Sì, sono una bella invenzione. Ma li utilizziamo nel modo corretto? Chi vi scrive è convinto che essi abbiano un’enorme utilità, soprattutto se si ha un’attività commerciale o se più banalmente si vuole condividere un pensiero o qualcosa su di sé e sulla propria vita. Ma proprio come accade nel mondo reale, anche il virtuale presenta numerosi ostacoli e insidie. Mi è capitato più di una volta di “postare”, come si dice in gergo, un commento ad una notizia di cronaca oppure un pensiero personale… non l’avessi mai fatto: si sono scatenati veri e propri putiferi.

Insulti, commenti su commenti, repliche infinite e mi chiedo: a che pro? Porta ad una crescita? E’ in qualche modo formativo? Vi è un vero scambio di opinioni o anche il litigio, il rispondersi per le rime, è ormai diventato una moda, la normalità? Il problema di fondo, credo sia un qualcosa di molto banale, semplicemente la poca voglia (e capacità) di prendere alla leggera questi strumenti di comunicazione. Li (e ci) prendiamo troppo sul serio, confondendo realtà e fantasia, pronti a pensare di conoscere una persona dalle sue foto, dai suoi post, da ciò che scrive, senza averla neppure mai vista dal vivo. Leggo continuamente, avendo un profilo su Facebook anche io, commenti contro parenti, conoscenti, partner, commenti pieni di odio contro il proprio capo, commenti contro qualche amico o amica che ha fatto, magari involontariamente, qualche sgarbo. Un mondo virtuale, nato come passatempo, si è trasformato fino ad assomigliare a un ring! Sempre più frequenti sono gli sfoghi sul proprio posto di lavoro. Questioni senza dubbio molto private. Spezzo una lancia nei confronti dei datori di lavoro: non è bello, come per chiunque, vedersi deriso e sbeffeggiato dal proprio dipendente, pubblicamente e su internet. Senza contare il rovescio della medaglia: diverse sentenze della Corte di Cassazione hanno precisato che un post denigratorio su social network nei confronti del proprio datore di lavoro può essere causa di licenziamento, come avvenuto già in diverse occasioni.

Senza contare i problemi familiari: scenate, gelosia, critiche, litigi. Persone che a causa di una foto su social network si son ritrovate con le valigie pronte fuori di casa! Foto di figli abbandonati, moglie picchiate, mariti traditi. È tutto pubblico ormai.

Eppure gli aspetti positivi non mancherebbero, prendo un esempio personale: adoro la lingua spagnola e la sua “melodicità”. Ho sempre sognato di poter, un giorno, colloquiare con persone madrelingua e imparare da loro qualche termine, un convenevole, un saluto o qualche simpatica frase da usare.

Ho iniziato con la musica. Testi scaricati e tradotti. Poi Facebook. Essendo nella Croce Rossa Italiana e facendo parte di numerosi gruppi sui social ad essa dedicati, ho iniziato a conversare con persone straniere. Mi son concentrato sulle zone sudamericane: Cile, Argentina, Colombia. Nazioni dove lo spagnolo è di casa. Anche contatti cubani. Tutto per la mia voglia di imparare la loro lingua. Ricordo le difficoltà iniziali, ogni due secondi ero con il vocabolario online aperto perché non conoscevo dei termini. Ora son due anni che scrivo (e parlo) in spagnolo e posso dire grazie ai social se posso conversare in modo abbastanza buono con tutti coloro che mi scrivono o parlano in spagnolo. Questo per dire che, in qualsiasi ambito, si può imparare. Si può trarre insegnamento persino da un video games. E così dal social network.

Usiamo la testa quando usiamo la tastiera… litighiamo già abbastanza nel mondo reale, perché farlo anche nel mondo virtuale?

Daniel Incandela

 

Recensione libro “Il Falsario” di padre Livio Fanzaga

«Ogni guerra si combatte per degli scopi, più o meno manifesti. Gli uomini non esitano a distruggere e a distruggersi per i beni materiali o per ragioni di egemonia, di dominio e di potere. (…)
A un livello più elevato, invisibile ma realissimo, si combatte una battaglia ben più grande, che coinvolge cielo e terra, e la cui posta in palio non è qualcosa fuori di te, ma sei tu stesso. L’uomo è l’essere più conteso che esista. Fin da quando si trova nel paradiso terrestre è insidiato da un nemico astuto e malvagio che lo vuole rapire a Dio e sottoporre al suo spietato dominio. Le ultime pagine della Scrittura ti mostrano l’esito finale di questa interminabile guerra, che vede il trionfo di Cristo e i suoi nemici che precipitano nello stagno di fuoco e di zolfo. Al centro di questa immane contesa fra Dio e Satana ci sono gli uomini.»

Con queste parole si apre “Il Falsario”, un libro bellissimo e terribile nello stesso tempo, scritto dal direttore di Radio Maria, padre Livio Fanzaga.
L’intento dell’Autore è fare una lunga se pur sintetica catechesi sul diavolo, “l’avversario di Dio e il nemico dell’uomo”, sulla scorta della Bibbia, del Catechismo, della Tradizione spirituale della Chiesa ed anche della sua esperienza pastorale.
Proprio le sue preoccupazioni di padre hanno spinto questo sacerdote bergamasco a trattare un tema totalmente censurato dalla cultura dominante: la presenza del male e la possibilità della dannazione eterna.

Dio ha creato gli angeli e gli uomini come esseri liberi, cioè capaci di riconoscere ed amare il loro Creatore, ma anche di rifiutarLo e di odiarLo. E’ dunque il dramma della libertà che sta all’origine del male: il diavolo era all’inizio una creatura buona, che per sua libera scelta ha deciso di pervertire se stessa in modo definitivo ed irrevocabile. L’Inferno non è stato creato da Dio, ma dal rifiuto dell’Amore di Dio da parte della creatura ribelle.
L’Autore riprende gli epiteti con i quali la Sacra Scrittura descrive il diavolo (“principe delle tenebre, avversario di Dio, nemico dell’uomo, principe di questo mondo, serpente, drago, tentatore”) e li commenta per farci capire quanto queste definizioni corrispondano alla nostra esperienza quotidiana ed alla vita del mondo.
Strepitosi in particolare sono i commenti alla tentazione dell’Eden e alle tentazioni di Gesù nel deserto. Satana si presenta come benefattore, che maschera il peccato e la ribellione a Dio come “il massimo della vita”, mentre in realtà sono la causa della nostra morte. Per questo è il Falsario. Dio aveva creato l’uomo immortale, dunque la morte non è un fatto biologico naturale, ma è “il salario del peccato” commesso dai nostri progenitori, il famoso peccato originale.

Il diavolo ha così acquisito un certo potere sull’uomo, i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti: basta accendere la televisione o leggere certe leggi che negano il diritto alla vita per rendersene conto.
Ma non bisogna preoccuparsi, Satana ormai ha perso. Gesù “ha cacciato il potente dalla sua casa e si è ripreso ciò che è Suo”, prima trionfando sulle tentazioni del deserto (da meditare bene perché sono tentazioni specifiche della Chiesa) e poi sconfiggendo definitivamente il male mediante l’offerta totale di Sé al Padre sulla croce per la nostra conversione.

Satana è come un cane legato: se non ti avvicini a lui, non può farti niente. Come si fa ad avvicinarsi a lui? Cedendo, appunto, alle sue tentazioni.
Nella seconda parte del libro, l’Autore descrive dettagliatamente la dinamica della tentazione, la quale è, come dire, personalizzata, nel senso che Satana ci studia fin dall’età della ragione per capire a quale fra i sette vizi capitali noi siamo più inclini e ci prepara le occasioni nelle quali possiamo soddisfare la nostra inclinazione al male, con la collaborazione del mondo e della sua mentalità dominante. Per esempio, ad un uomo lussurioso il diavolo presenterà una donna sotto il suo influsso.
Il peccato è la catena con la quale ci lega a sé, con lo scopo di ottenere la nostra adorazione, che è dovuta solo a Dio, e di conquistare la nostra anima per l’eternità.

Qual è il rimedio? E’ semplice ma esigente: vivere la vita ad imitazione di Cristo, cioè vivere dentro l’esperienza della Chiesa, nella preghiera, nella mortificazione dei vizi, nella frequentazione dei sacramenti (a proposito, Satana fa di tutto per impedire la confessione), nell’obbedienza al magistero del Papa e dei Vescovi. Solo nella croce di Cristo possiamo trovare la pace e la felicità che cerchiamo senza posa.

Daniele Meneghin

Recensione libro “Con occhi di bambina” di Ania Golędzinowska

Lo scorso sabato 11 febbraio, nella parrocchia Beato Cardinal Ferrari di Legnano, ho toccato con mano una vera e propria esperienza di resurrezione. Accettando l’invito di un collega di lavoro devoto alla Madonna di Medjugorje, ho partecipato alla testimonianza di una giovane ex showgirl polacca, Ania Golędzinowska, la quale ha parlato per più di un’ora della sua vita, a fianco della statua della Madonna e di una bacinella d’acqua benedetta proveniente da Lourdes. “Gli applausi sono tutti per Lei”, ha detto alla fine della sua testimonianza al pubblico che l’ha ascoltata col fiato sospeso.

La sua, infatti, è stata ed è una vita vissuta con un’intensità eccezionale: Ania ha sempre cercato l’amore vero e la felicità autentica, pur in tutte le vicende molto dolorose e tragiche che Dio le ha fatto vivere. Sono rimasto impressionato dal suo volto raggiante di gioia, e ho pensato che il solo fatto che lei fosse ancora viva era già un miracolo straordinario. Ania la si potrebbe definire un bellissimo “fiore selvatico”, cresciuto fra la perdita precoce di suo padre, alcolizzato, e le profonde incomprensioni con sua madre, che dopo la morte di suo marito cominciò a portare a casa numerosi “zii”, uno dei quali violentò Ania quando lei aveva 10 anni. Poi vennero le prime esperienze amorose e il contatto col mondo della droga, la morte di tanti amici d’infanzia, il trasferimento in Italia al seguito di un’organizzazione criminale che sfruttava il sogno di tante ragazze di avere una vita migliore, la reclusione in una villa a Torino, il “lavoro” d’intrattenitrice in un locale di quarta categoria e lo stupro che lei subisce da parte di uno dei clienti, che all’inizio sembra una persona perbene, esperienza tragica che Ania ha deciso di descrivere proprio all’inizio del suo libro.

Ma Ania è una ragazza molto intelligente e scaltra, doti che le hanno salvato la vita e le hanno permesso di fuggire da questa prigionia e l’hanno portata a Milano, dove si fidanza con un ricco imprenditore con il vizio della cocaina e che le dice che l’amore eterno in fondo non esiste… Coca party e sesso sfrenato sono il “sale” della sua vita, e cominciano anche i primi lavori nel mondo dello spettacolo, un mondo in cui chi è cattolico si guarda bene dal dirlo apertamente. Dio però non si dimentica di lei, e una notte le manda “un vecchio, con una barba lunga che mi guardava con occhi pieni di dolore, scuotendo la testa. Il suo sguardo mi faceva vergognare. Mi sentivo in colpa…” Lei ancora non lo sapeva, ma Padre Pio era venuto a farle visita. È l’inizio della resurrezione. Incontra Paolo Brosio, che in quel periodo sta scrivendo il suo libro “A un passo dal baratro”, in cui racconta la storia della sua conversione improvvisa, un’Ave Maria recitata in 16 secondi alla fine di una notte di follie. Paolo l’aiuta a trovare un editore per il suo libro e la invita ad un pellegrinaggio a Medjugorje, nel periodo di Pasqua del 2010. Ciò che succede a Medjugorje è tutto da leggere e da scoprire! “Sentivo dentro la voce… Una voce che mi diceva di perdonare, di perdonare tutti… I miei “zii”, e tutti quelli che mi avevano fatto del male. Mi sentivo in armonia con il mondo, e quando ci si sente così si comprende che il perdono non è una scelta, ma l’unica possibilità.” La fede passa attraverso una trama di rapporti umani, attraverso la quale Dio ci fa scoprire a poco a poco quanto Lui ci ami e sia paziente con noi, con le nostre debolezze.

In virtù di questo incontro affascinante, Ania rifiuta una proposta di lavoro molto allettante come PR a Porto Cervo e si trasferisce a Medjugorje, lascia tutto il bel mondo nel quale ha vissuto, senza rimpianti. Un prete polacco le aveva promesso di pregare per lei tutta la vita, le aveva sempre scritto lettere ma lei non gli aveva mai risposto… Potenza della preghiera!!!
Il 25 giugno 2011 Ania fonda il movimento “Cuori Puri”, che promuove fra i giovani la castità prematrimoniale. Chi lo desidera può ricevere un anello e fare la promessa alla Vergine Maria, davanti a un sacerdote, di vivere in castità fino al matrimonio. Questi sono i contatti del movimento:
SITO WEB: http://www.cuoripuri.it

Daniele Meneghin

Red Cross is life

Otto anni. Sono passati ormai otto anni da quel lontanissimo 2006 quando presi la decisione di iniziare il volontariato presso la Croce Rossa Italiana. Era un freddissimo giorno di dicembre quando andai alla prima lezione del corso, che poi mi portò a diventare Operatore di centralino della C.R.I., e lo ricordo ancora benissimo. Il nostro Istruttore, persona molto capace e chiara nelle spiegazioni, iniziò a darci le prime nozioni storiche sulla CRI e sulle sue origini. Mai avrei pensato di potermi sentire tanto coinvolto da quelle spiegazioni e da tutto ciò che scoprii successivamente. Da quel giorno non ho mai smesso di essere un volontario, ad oggi ho avuto molte soddisfazioni, delusioni, e sentimenti contrastanti, ma nel corso del tempo mi sono accorto che la CRI non è un’associazione di volontariato: la CRI è una vera e propria famiglia, dove ognuno ha un compito, e nel momento in cui uno dei componenti “viene toccato”, gli altri lo supportano nelle decisioni e in tutto ciò di cui potrebbe necessitare.

Io sono un centralinista, un semplice operatore, che risponde alle chiamate delle persone o del 118, utilizzo la radio per comunicare con i mezzi in movimento, compilo i moduli del centralino, che inizialmente spaventano un po’ tutti, me compreso. Ricordo che la prima volta che mi son trovato da solo, poiché i miei colleghi erano in servizio, avevo il cuore in gola. Un collega mi disse: “Se hai bisogno, chiamaci via radio o ‘via cavo’”, ossia per telefono. “Ok, grazie” gli risposi io. Dopo pochi secondi mi trovai solo.
Nessuno in centralino ad aiutarmi in caso di difficoltà, nessuno in sede da poter contattare “di persona”. Fu una sensazione strana, difficile da descrivere…paura? Angoscia? No, semplicemente tensione. Ma tutto, ogni minima cosa, andò bene quel giorno. Risposi in modo corretto alle telefonate, annotai prenotazioni di servizio in modo “molto buono” (a detta di colleghi con maggiore anzianità). Insomma, come se l’avessi sempre fatto. Da lì ho capii che da quel centralino, da quel luogo, non non sarei più andato via… A volte, dopo tanti anni, ancora mi sento dire “Ma non ti pagano,cosa ci vai a fare….” ed io rispondo sempre con la stessa frase “Ognuno fa le proprie scelte di vita. Io ho scelto di stamparmi una Croce Rossa sul cuore, oltre che sulla divisa che porto.” In quel momento, cala il silenzio assoluto e non sanno più cosa rispondere… Da qualche tempo, la mia esperienza da volontario si è ampliata con una delega che mi porta a scrivere articoli di giornale e a pubblicare eventi facebook per il mio Comitato Locale. Sono sempre stato appassionato di scrittura, forse per la mia comunicatività, forse perchè mi viene “semplice” farlo. Non so. Purtroppo questo tipo di delega mi ha attirato anche alcune critiche esterne, ma non importa. Faccio quello che mi piace, quello che mi gratifica. Le parole volano col vento, quindi anche le critiche. Tornando al mio piccolo centralino, devo dire che non sempre è un ruolo semplice: ci si trova di fronte a situazioni talvolta strane, spesso persino bizzarre, ma essendo riservate, non posso raccontarle. La sola cosa che posso dire è che quando non si deve essere concentrati e seri, vige un clima sereno all’interno del gruppo. Ho persone dal cuore d’oro con me e in loro compagnia qualsiasi malumore o pensiero negativo sparisce. Sì, a volte, per ragioni di servizio, ci può essere una discussione, anche aspra., ma in pochi minuti tutto svanisce, e si torna a essere concentrati sul nostro unico obiettivo: aiutare il prossimo. La CRI è un’ Associazione che ha dei principi cardine da seguire. Principi che vanno al di là delle idee sociali, politiche, (calcistiche!) o razziali e sono sette: Umanità. Imparzialità. Neutralità. Indipendenza. Universalità. Unità. Volontarietà. Questi sette principi per noi volontari, possono essere paragonati un po’ ai sette nani: uno lo si scorda sempre… ma tutti vengono rispettati! La Croce Rossa Italiana è come una famiglia e tutti siamo uguali. Io sento di farne parte e da questa famiglia non uscirò mai.

Daniel Incandela

Poesie: “Triduo”

Anch’io…

Anch’io pretendevo risorgere
con te, Gesù, mio stupendo vincitore!

Ma io ragiono da uomo,
non da Dio:
in questi chiodi Tu annunci
la mia liberazione.

Un granello…
Solo un accenno…
Questo, basterebbe a seguire
la Sapienza
del buon ladrone.

Carlo Molinari