Racconti brevi: “H.I.V. – Ho imparato a vivere”

“Sono immobile davanti al portone d’ingresso dell’ospedale. Mi volto prima a sinistra e poi a destra ma non passa nessuno. È ancora presto e la città si sta ancora pian piano svegliando. Immagino la maggior parte delle persone ancora avvolta nel tepore delle coperte del loro letto. Vorrei essere anche io ancora lì, mentre invece sono qui fermo, di ghiaccio. Una fitta nebbia avvolge i palazzi circostanti e offusca la mia mente. Il freddo penetra nelle mie ossa senza permesso. Un signore anziano mi precede e mi invita con un gesto della mano ad entrare e decido di seguire il suo consiglio. Appena varcata la soglia un grande calore invade il mio corpo prendendomi alla sprovvista, facendomi pentire di aver esagerato con gli strati. Ed eccoli lì, come fulmini a ciel sereno, sopraggiungono impetuosi pensieri, ansie e preoccupazioni. Pensavo di averle relegate in un cassetto in tutti in questi giorni, mesi passati e invece no. Riaffiorano, nuotando controcorrente, come fanno i salmoni quando risalgono la corrente di un fiume. Faccio un respiro profondo e scuoto la testa nel vano tentativo di cacciarli via, in una zona remota della mia mente. So che sono ancora lì, nascosti ad approfittare di ogni mia minuscola indecisione. Ma a differenza delle altre volte, che mi sono solo immaginato questo percorso, sono qui, sono vivo. Alzo lo sguardo sul tabellone. Sinistra, 2° piano, laboratorio di analisi, ascensore. Mi ci dirigo a passo svelto premo il pulsante 2. Non accade nulla. Riprovo. Niente. Scorgo con uno sguardo le scale fiancheggianti e decido di salire a piedi. Incrocio un’infermiera e chiedo delucidazioni. Mi dice che ho sbagliato posto. Imbarazzato e sbuffante riscendo le scale e mi dirigo verso il posto indicatomi. Apro la porta e subito un enorme brusio invade la mia quiete apparente. Gente che entra, gente che esce, gente indispettita che alza la voce. Mi accorgo di aver sbagliato in precedenza; forse non erano tutti ancora sotto le coperte. Chiedo informazioni ad una segretaria che mi indica di premere il pulsante “urgenze” sul totem. Premo, sono il numero 118, sorrido tra me, che coincidenze. Aspetto pazientemente il mio turno, lasciandomi sprofondare su una poltrona. Il display si illumina e dopo un leggero bip compare il mio numero. Mi dirigo verso lo sportello relativo dove ad accogliermi c’è una donna di mezza età, capelli corti, occhiali sul naso dalle forme tondeggianti. Le pongo la mia richiesta. Mi guarda fugacemente ed inizia a digitare imperterrita lettere sulla tastiera del proprio computer. Forse pensa che sia un drogato. Guardo il mio riflesso sul vetro che mi separa da lei: non posso darle torto. Mi consegna un foglio senza far trasparire alcuna emozione e mi indica dove firmare. Sono il signor NXX ZXX. Un signor nessuno, non esisto. Mi tocco il polso, sento i battiti, sono ancora vivo. Mi dirigo verso la sala prelievi e subito una infermiera mi chiama verso di sé indicando una poltrona blu ormai sbiadita dal tempo. Mi domanda come mi chiamo, ma non so cosa rispondere; i secondi mi sembrano interminabili. Decide di fare un passo in avanti verso di me e afferra il foglio dalle mie mani. Con un secco “ok” di risposta, capisce la situazione e procede al prelievo. Avvolge un tubicino trasparente poco sotto il mio bicipite e inserisce con estrema delicatezza la farfallina; via si incomincia. Il sangue fuoriesce copioso dalla mia vena andando a riempire a poco a poco una provetta di un rosso scarlatto e in un istante è tutto finito. L’infermiera mi toglie il tutto e mi sorride. In quel precise instante so di aver fatto la scelta giusta, per me stesso, per il mio futuro…”

In queste situazioni il risultato non conta. Conta prendere per mano te stesso e affrontare le cose. Quante notti insonni avrai passato, quante volte ti sarai sentito a disagio con chi ti sta intorno. Si dice spesso di avere il beneficio del dubbio, però i dubbi non portano ad alcuno beneficio, ma soltanto a frustrazione e logoramento. Quindi vai, spogliati dalla vergogna e indossa il tuo miglior vestito.

Marco Aiolo

Racconti brevi: “Un sogno ispirato”

Mi trovo in mare, in barca, sto pescando, lascio la barca muoversi col vento e la corrente, mi rilasso, è una bella giornata, un diversivo; la bellezza della solitudine, può trasformarsi, a volte, in una situazione molto pesante. Vedo in lontananza una vela venire nella mia direzione, è veloce, naviga di bolina, é ben condotta, la scia è dritta, risalta nel blu cobalto del mare di tramontana. Le vele sono tese, sento le sartie fischiare, le drizze in tono minore, osservo con invidia, é veloce, mi si affianca, un attimo e si allontana, é silenziosa, solo un fruscio indimenticabile, quasi un miraggio. Al timone una splendida dea, mi regala solo uno sguardo e un gesto ieratico di saluto con la testa, è bella, tiene la ruota con grazia, ma forza, il suo sguardo corre avanti oltre l’orizzonte, al futuro. Sono rimasto impietrito, una visione, guardo i suoi lunghi capelli neri sventolare in lontananza, poi mi giunge una voce, troppo speciale per essere portata dal vento, mi suona dentro, mi dice: “raggiungimi, sarò tua per sempre”. La mia barca è pesante e la corrente forte, devo remare verso terra, poi mi sveglio e mi affaccio al balcone……vedo una vela lontana.

Sandro Emanuelli

Racconti brevi: “Pazzie in Polonia”

Nel ventennio degli anni ’80/’90 sono stato frequentemente in Polonia con l’Agente dell’azienda per cui lavoravo, un mio caro amico. La Polonia è un Paese che ho sempre amato e che visitavo volentieri, per la simpatia degli abitanti, grandi lavoratori, grandi bevitori, grandi combattenti. Ho sempre ammirato l’eroismo della cavalleria polacca contro i tedeschi invasori, Solidarnosh, la bontà che traspirava da Giovanni Paolo II e tanto altro. Ogni cliente nuovo che visitavamo diventava un amico, con relative mangiate e bevute e tanta confidenza, con scherzi, battute e brindisi vari. Una mattina alle nove, visitiamo un cliente già amico da anni, era decisamente un po’ brillo; la mia prima domanda fu: “Scusami, è l’ultima sbronza di ieri o la prima di oggi”? Mi accompagnarono una volta a visitare una distilleria dove preparavano un’ottima vodka, di diverse composizioni, tra i vari prodotti, c’era anche la vodka “kosher”, che gli ebrei potevano bere. Per amore del sapere, chiesi cosa comportava come differenza creare il prodotto “kosher”. Mi fu risposto che esisteva un rito di preparazione e che la materia prima (il luppolo) doveva essere toccata per il lavaggio solo da ragazze vergini e che c’era un rabbino che si occupava solo di certificare questo. Naturalmente mi proposi come assistente rabbino assunto in prova, vista l’avvenenza delle operaie addette…

Andai in pellegrinaggio al Santuario della Madonna Nera, a Czestochowa, venerata dal Papa. La cittadina si trova sulla strada percorsa dai TIR trasportatori di carni che arrivano dal confine sovietico per andare a scaricare in Europa. Gli autisti si fermavano nella cittadina per dormire e i vari alberghi, alberghetti e pensioni erano sempre pieni di gente perché vi soggiornavano le donnine allegre che si prendevano cura dei camionisti. Prima di entrare nel santuario, mi fu raccomandato di tenere una mano sul portafoglio e l’altra sul davanti, non si può mai sapere… Visitai anche il campo di Auschwitz, una tristezza. Una sera un amico mi disse che invidiava noi italiani per le reti stradali, in Polonia non erano ancora complete. Gli ricordai che i tedeschi già nel 1939 avevano costruito una bella strada che andava dal loro confine ad Auschwitz; forse bastava spargere la voce che a Danzica le famiglie di origine tedesca erano maltrattate e subito i tedeschi avrebbero fatto una autostrada, magari percorribile con i carri armati… Non vi dico le risate… Ma credo che il fatto più saliente fu un intervento che facemmo al di là dei limiti del nostro lavoro. Tutto da raccontare. Visitando una grande fabbrica, già nostra cliente da anni, fummo portati di fronte al Consiglio d’Amministrazione che trovammo in stato di preoccupazione acuta. Correva voce che lo Stato avesse in mente di vendere a una ditta inglese il terreno occupato dalla fabbrica, per farne un nuovo quartiere abitabile. I dirigenti della fabbrica erano preoccupati di perdere il posto di lavoro: c’era ancora il regime comunista e non potevi metterti a discutere le decisioni dello Stato.

Mi chiesero consiglio: memore di quello che succedeva in Italia, proposi di occupare la fabbrica, con scioperi vari e bandiere rosse. L’idea attecchì; andai inoltre alla sede della società inglese possibile acquirente e confusi le acque con molti discorsi assurdi. Stranamente questa mossa ebbe successo: lo Stato rinunciò alla vendita e fui festeggiato con un bella cena insieme al Consiglio d’Amministrazione. Ma non passavo la giornata a divertirmi, lavoravo sodo, qualche volta la sera mi sollazzavo. Una sera in un casinò, in albergo, ebbi una fortuna sfacciata, un turista italiano, anziano con consorte, che giocava vicino a me e registrava tutti i numeri usciti, sbottò dicendo che non era possibile e mi chiese che sistema usavo; tranquillamente gli risposi “il culo”! Non ho scritto della bellezza delle donne polacche; ho una foto di circa 40 anni prima, seduto a tavola con la contessina Maria De Zwalewska, allora eletta Miss Muretto di Alassio, una meraviglia… Gli amici quando venivano in Italia in ferie mi portavano un secchio di aringhe, ne ero golosissimo sia fresche, crude all’ammiraglia sia inscatolate. Purtroppo con il procedere degli anni, non ho più aringhe né vodka kosher in casa…

Sandro Emanuelli

Racconti brevi: “Appunti algerini”

Ho scritto già di viaggi nei vari Paesi del mondo; erano racconti in cui descrivevo quello che vedevo, oggi scriverò quello che sentivo, ossia le mie impressioni. Inizio in ordine alfabetico, partendo dall’Algeria, dove ho passato diversi mesi negli anni ’70 e ’80. L’azienda in cui prestavo servizio, aveva uffici locali con impiegati algerini e spesso mi fermavo a dormire in una stanza dell’ufficio adibita ai soggiorni d’emergenza. Avevamo automobili in dotazione, per cui viaggiavamo moltissimo; l’unica cosa negativa era la targa della macchina di colore nero. C’era il rischio di essere confusi per francesi… smisi di volare con i voli interni dopo alcuni spaventi tremendi, preferivo affrontare ore di guida nel deserto in fuoristrada; andavo spesso a Orano, la prima volta la segretaria mi prenotò il miglior albergo.

Entrato in camera e in bagno, rimasi di sasso: tutti i sanitari, inclusa la vasca da bagno erano di color marrone/feci e l’odore che vi aleggiava confermava le supposizioni degli occhi. Ma non era tutto così squallido: parlando con degli algerini mi dissero che si erano divertiti a evirare i prigionieri francesi….la foto della Regina dei Touareg, che si trova al Museo del Bardo, per me rappresenta una delle donne più belle che abbia mai visto. Gli algerini mangiano i montoni, a un amico di Bergamo servirono una svizzera di montone! Però c’erano triglie che pesavano sui 3 etti e abboccavano all’amo senza esca! In Algeria ho mangiato una buonissima “baguette” e ho trovato il vino rosato e bianco buonissimi. Le donne erano tutte tatuate ma agli occhi avevano un trucco perfetto. La città di Algeri poi assomiglia molto a Genova, c’era una passeggiata a mare che era favolosa…

Sandro Emanuelli

Racconti brevi: “Un avvenimento inaspettato”

Indubbiamente uno di quelli che accadono una sola volta nella vita: non te ne accorgi finché qualcuno, magari involontariamente, ti fa riflettere, allora pensandoci sopra ti rendi conto che tanti piccoli avvenimenti si concatenano, fino ad apparire come tessere di un mosaico della vita formato da un solo disegno, a volte iperscrutabile. Sono le ore 03.25 e sto scrivendo in piedi, con l’iPad posato sulla cuccetta superiore della mia cabina; non c’è collegamento internet e il GPS mi dice che abbiamo da poco doppiato Capo Corso, in quel lembo di terra della Corsica che assomiglia a un dito indice proteso verso la mia Genova, che ho lasciato alle 18.00 a bordo del traghetto “Aurelia” diretto alla mia terza patria d’adozione (la seconda è Hong Kong) Carloforte, nell’isola di S.Pietro, l’isola più a occidente d’Italia, un piccolo fazzoletto d’Eden buttato in mezzo al Mediterraneo, che ho eletto a mia residenza in attesa dell’ultimo viaggio. Dopo ben quattro anni di lontananza, mi sono precipitato per assaporare la nascita della piccola Claudia, un roseo batuffolino dai capelli neri, capolavoro di mio figlio e mia nuora, giunta tra noi la notte del “Thanksgiving day” per ricordarci che non dobbiamo mai dimenticare il miracolo della vita. Tenerla in braccio, vezzeggiandola, mi ha riportato alla memoria di quando divenni padre: guardando il mio Lorenzo per la prima volta dietro la parete a vetri dell’ospedale, ero convinto che mi avesse sorriso non appena visto, dimenticando che i piccini appena nati non vedono a distanza…. In queste due settimane di celebrazioni, ho incontrato spesso dei vecchi amici, purtroppo qualcuno ci ha già lasciato, ma sono sicuro che il Fato tiene conto di ciò quando ci invia dei nuovi personaggi, come la mia principessina Claudia, a mitigare il dolore che proviamo per chi ci ha lasciato prematuramente. Incontrando una vecchia (si fa per dire) amica, ho avuto lo spunto a scrivere queste poche righe: mi sono convinto che esista, tra uomo e donna, uno stadio intermedio tra amicizia e amore, che appaga il desiderio, che ognuno ha, inconsciamente, di sentirsi vicino, anche solo telematicamente, qualcuno di cui siamo sicuri che non ci tradirà mai, nemmeno con il pensiero. Questa dolce amica, credo che questo sia l’aggettivo più adatto per descriverla, è molto sensibile e, vista con l’occhio del fotografo, è molto bella con un corpo splendido.

La dolcezza si riscontra non solo nelle sue parole o nei gesti, ma dallo sguardo, leggermente ironico positivamente, suscita ondate di benessere quando s’incontra e s’intreccia con il tuo, aprendo un dialogo muto ma senza limiti d’espressione. Anche lei ama Carloforte, da anni, e per farle cosa gradita ogni mattina le invio la foto dell’alba, con qualche parola di commento; abbiamo così un breve dialogo che si protrae per tutto l’anno. La cosa strana e bella contemporaneamente, è che lei dalle mie parole riesce a desumere il mio stato d’animo, intervenendo immediatamente con qualche commento costruttivo di risposta; ma lo stesso succede anche a me: riesco a capire il suo stato d’animo e mi adopero subito per farla star meglio. Quando ci siamo incontrati per passare insieme qualche ora, tra noi c’è stato un abbraccio, di quelli veri, non quelli ridicoli da pantomima a distanza di sicurezza: l’ho stretta a me e lei ha fatto altrettanto, compatibilmente con le mie dimensioni.A pranzo, un’altra sorpresa: la mia amica è piuttosto speciale nella scelta del cibo e mi ero preparato a fare un piccolo sacrificio per adeguarmi, ebbene, anche lei ha avuto lo stesso pensiero e abbiamo consumato un bel pranzetto di comune accordo in un locale meraviglioso sul mare. Parlando, mi ha detto di essersi fidanzata da un anno, scherzando le ho detto che se avessi immaginato che era libera, sarei tornato prima….Le ho scattato qualche ritratto, con le varie espressioni che conosco bene, le ho mandato subito le foto e lei ha particolarmente gradito quella in cui siamo insieme, piace anche a me. Purtroppo le cose belle finiscono sempre troppo presto: ci siamo salutati con un altro vero abbraccio e mi sono fermato sulla strada a guardarla allontanarsi, ogni tanto lei si girava e mi salutava agitando la mano, finché non è salita sul bus che la portava al lavoro.Non era passata un’ora dalla sua partenza, che mi arriva un suo SMS, mi dice che allontanandosi e vedendomi lì, fermo, a guardarla andar via, le era venuto il magone con le lacrime agli occhi, le rispondo che lo stesso era successo a me! Oggi, inaspettato, mi è arrivato un altro SMS in cui mi augurava buon viaggio, lo sarà sicuramente, con il tuo augurio……Ora sono le 05.22, fra un poco sorgerà il sole e voglio proprio fotografarlo, accompagnato nella mente dalle parole di una vecchia canzone “Alba sul mar, è una canzone romantica, che il marinar canta con voce nostalgica….”. Sarà opportuno poi che io cerchi di riposare almeno un’ora, mi attende una guida di 350 Km e con la piaga che ho nella gamba destra non è un divertimento, ma almeno sarò libero di pensare alla mia principessina, agli amici, alle persone care e al mio paese…..E non prendetemi in giro se mi commuovo, dopo una vita di batoste combattute all’ultimo sangue, un pizzico d’amore col contorno di simpatia e tanta dolcezza, rallegrano la vita e fanno commuovere anche Sandrokhan, l’Ultimo Avventuriero…

Sandro Emanuelli

Racconti brevi: “L’uomo che cavalcava le onde”

Ero nello Sri Lanka, una volta noto come “Ceylon”; mi trovavo a una quarantina di chilometri a sud da Colombo, ospite di un amico che possedeva tre alberghi che si affacciavano su una splendida laguna dalle acque color smeraldo. La laguna era formata da una barriera corallina, accessibile a piedi solo con la bassa marea; il canale d’accesso alla laguna era largo una decina di metri e lungo circa il doppio. Un giorno il mio amico arrivò con due canne da pesca al fondo e mi disse che sicuramente avremmo fatto buona pesca. Dopo pochi minuti dal lancio, pensai di essermi incagliato sul fondale; il mio amico mi suggerì di forzare il ricupero e la preda arrivò: avevo catturato una testuggine di circa 10 Kg. di peso. Pensai di liberarla, ma il mio amico la volle cucinare. Non descrivo in dettaglio il sistema che usano per cucinarla, per non infastidire le persone sensibili, ma onestamente devo dire che la carne era molto gustosa. Un’altra volta pescammo col bolentino in piedi sulla barriera corallina; presi una grossa murena che non era d’accordo di essere catturata.

Per fortuna un amico pescatore la prese lui e mi liberò dall’impiccio. I pescatori usavano una piroga con bilanciere e una piccola vela; mi piaceva moltissimo pagaiare da solo, uscire dalla laguna e andare al largo a godermi il sole e il mare. Una volta, mentre ero al largo, si levò un forte vento monsonico e mi trovai in difficoltà a tornare. Non c’erano natanti in giro e notai che i pescatori a terra si stavano agitando: pensavano che non sarei riuscito a tornare. Per fortuna il vento alzò anche le onde e, memore delle mie esperienze di gioventù, mi fu facile imboccare la cresta di un’onda ed entrare nel canale d’accesso alla laguna a tutta velocità! I pescatori mi presero al volo quand’ero ormai con la prua sulla sabbia, gridandomi tutti una frase in lingua tamil che non conoscevo per niente! Il mio amico, subito accorso, mi venne in aiuto ed ebbe la bontà di tradurmi la frase in inglese; una frase che sarebbe diventata il mio soprannome negli anni a venire! The man riding the waves! (L’uomo che cavalca le onde).

Sandro Emanuelli