Recensione libro “Tanta vita” di Alejandro Palomas

Lo stesso Alejandro Palomas mi ha consigliato di leggere “Tanta vita”, la sua opera preferita, quella che gli ha rubato l’anima. E questo si è sentito, si è percepita tutta la sua fatica, tutto il suo trasporto emotivo, e la sua passione per il suo lavoro, in questo intensissimo romanzo. Quello che balza subito all’occhio è la capacità di Alejandro Palomas di immedesimarsi nell’universo femminile. Il gioco dei ruoli mette in luce le diverse caratteristiche delle donne che popolano il romanzo, diverse per età, per condizione sociale e per esperienze vissute. Ognuna chiusa nel proprio labirinto, alla perenne ricerca dell’uscita da una vita che non rispecchia in pieno i sogni e le aspettative.

Le diverse voci narranti ci mettono di fronte a queste cinque donne, in un momento particolare della loro vita. Un recente lutto ha messo a dura prova il loro rapporto, distruggendo quelle poche certezze alla base della loro vita.

Il dolore è troppo grande anche per esternarlo, meglio soffrire in silenzio, rinnegando l’amore e l’affetto dei propri cari. I ricordi sono l’unica salvezza e custodirli diventa l’unico scopo. Ma su questo ultimo punto Mencìa non concorda. La matriarca, la nonna novantenne, diventa il centro nevralgico della loro disperazione. Donna energica non si fa sopraffare da nessuno, con modi bruschi e sfacciati, accompagnati da una lingua tagliente, mette a dura prova le loro emozioni costringendole a guardare in faccia la vita, la loro vita, con coraggio, senza tentennamenti.

Helena, figlia e nipote, scomparsa da poco, è la spina nel fianco, con cui il dolore le pungola ogni giorno. Figura centrale anch’essa dell’intero romanzo, onnipresente nei loro occhi, nei loro ricordi, nella loro disperazione. Personaggio controverso, amata e odiata, ha con la sua scomparsa sconvolto i già precari equilibri familiari. Rapporti irrisolti e cose non dette, sono il rammarico più grande per Lìa, madre disperata che non vuole e non può accettare la scomparsa dell’amata figlia. E chi può aiutare una madre se non un’altra madre? Mencìa con le sue idee strampalate le convince a fare una gita al faro, un luogo saturo di ricordi del passato, e quindi adatto per piangere chi è venuto meno. Le costringerà ad affrontare, ognuna a modo suo, i demoni che attanagliano la loro anima. Perché lei prima di essere nonna, madre, è una donna. Conosce bene l’animo femminile.

Come aiutare le nipoti e le figlie? Il tempo stringe, ormai la sua vita terrena è arrivata agli sgoccioli, non le resta molto, resta solo la consapevolezza che “a novant’anni si perde il pudore e, quando non c’è pudore, saltano fuori le verità scomode, le magagne”. E passo dopo passo scorre, tra una rivelazione e un’altra, il passato di ognuna, scoprendo verità scomode e riaprendo vecchie ferite. Al dolore non c’è mai fine, e quando una nuova tragedia si abbatte sulle loro esistenze, non resta altro che soccombere. Non ci sono più lacrime, la vita ha presentato il conto, e a pagarlo, questa volta, tocca all’anima più innocente. Mencìa non accetta un domani senza il suo angelo e invoca ogni giorno quella morte che tarda ad arrivare, perché lei ha fatto una promessa e vuole mantenerla a tutti i costi. Mencìa resta il mio personaggio preferito. Ha amato e odiato con la stessa intensità. La verità è il suo mantra. Ma la sua natura dolce, sensibile, emerge per il suo pronipote, un rapporto intenso li lega, fatto di battute e passioni in comune, risate e chiacchiere.

Due mondi all’apparenza lontani, ma legati indissolubilmente da un affetto, un amore che supera tutte le barriere. Le pagine dedicate al loro rapporto sono molto toccanti, commoventi, e ci regalano un’immagine d’amore che va al di là dell’età, della vita e della morte. La vita toglie ma allo stesso tempo dà, e sarà la nascita di una nuova vita a donare a tutte una speranza, un punto da cui ripartire. Non nego che mi sono molto commossa, specie verso la fine. Trama intensa, che mi ha coinvolto dalle prime battute. Narrazione ricca di dialoghi che animano e sostengono un racconto dai risvolti a volte drammatici. Ma in fondo è vita ”vera” quella descritta da Palomas, esperienze che, purtroppo, accomunano molti. Esilarante e ironico in molti punti, evidenzia la capacità di intrattenitore dell’autore, mostrandoci anche l’altro lato della medaglia. Si può ridere e scherzare anche durante una tragedia, la vita è fatta di alti e bassi, e nulla ci vieta di cogliere ogni occasione per rialzarci con il sorriso sulle labbra, perché come dice Mencìa , citando Pablo Neruda, “Confesso ho vissuto”.

SCHEDA DELL’EDITORE
Nonna Mencía ha un braccio rotto e novant’anni. E a novant’anni, si sa, si perde il pudore e allora affiorano le verità scomode, le magagne, i segreti più crudeli, come quello che per anni è riuscita a nascondere alle figlie. Flavia ha accolto Mencía a casa sua, l’ha vista invecchiare e perdere la memoria. Dovrebbe odiarla visto che, un giorno di tanti anni fa, ha posto fine all’unica storia d’amore della sua vita. Ma Mencía è pur sempre sua madre, e poi l’esistenza è un gioco strano e forse lei ha giocato male le sue carte. Lía accudisce amorevolmente tutti, la madre Mencía, le figlie Beatriz e Inés, ma non riesce a superare il dolore per la scomparsa di Helena, la sua prima figlia. Helena, silenziosa e bella nella sua precarietà. Helena, innamorata del padre e del mare. Navigavano insieme come due meduse mute, due porte chiuse della stessa soffitta. E tornavano dalle loro gite in barca radiosi ed esausti. Un giorno, però, Helena si è avventurata in mare da sola e non è piú tornata. Beatriz, invece, è rientrata a casa in un giorno di pioggia e non vi ha piú trovato Arturo, suo marito. La casa era vuota. Non un solo mobile, né un quadro, e nemmeno una pianta. Niente. Solo uno squallido, laconico biglietto d’addio. Inés, infine, ha una strana luce sul viso da quando Sandra, un paio di occhi neri come due sentieri che si incrociano nel folto del bosco, è sbucata a tradimento, come una nube in tempesta, nella redazione del giornale in cui lavora.
Mencía, Flavia, Lía, Beatriz, Inés: cinque donne spagnole della stessa famiglia e di tre diverse generazioni, cinque donne che si incontrano in una casa della zona ovest di una Minorca autunnale, circondata dal mare come un tappeto di lana grossa e azzurra, per mostrare che, al di là dei tempi e dei mutamenti, il cuore delle donne non si lascia facilmente abbattere dai colpi della vita.

Katja Macondo

Recensione libro “Le regole del tè e dell’amore” di Roberta Marasco

Inizia così la sinossi, “L’amore di Elisa per il tè risale alla sua infanzia…”, ed è questo amore per il tè il leitmotiv dell’intero romanzo di Roberta Marasco, che ha iniziato a scrivere per vivere le proprie emozioni e tornare a credere nei sogni. La cultura millenaria che ruota intorno a questa gustosa ed intensa bevanda ambrata, ci viene donata con grazia, versata con delicatezza, e offerta con umiltà. Ad ogni capitolo una scoperta, un piccolo vademecum per noi comuni mortali che conosciamo solo il tè in bustina. Le proprietà benefiche, il colore, la coltivazione, le curiosità, i trattamenti, gli utilizzi sono parte della storia, ci vengono donate come piccole perle di saggezza. Elisa, la protagonista, ci prende per mano e ci conduce nella sua vita, della sua infanzia. Ricordi tristi, lieti, gioiosi sono tutti accomunati da una buona tazza di tè.

È stato in questo modo che la madre le ha insegnato l’amore per il tè. “È impossibile condividere un tè con qualcuno senza avere la sensazione di aver condiviso qualcosa di molto più intimo. Il tè trasforma chi lo beve. Gli spigoli si arrotondano, le parole escono più naturali, ci si sente più liberi e meno impacciati. Ci si sente improvvisamente a casa. Elisa aveva assistito a quella magia per anni.” Elisa è combattuta, dopo la morte della madre e della zia, si ritrova sola e con tante domande a cui dare una risposta. Non conosce parte del suo passato, non conosce le proprie origini, tutto è avvolto dal mistero, e sarà proprio la scoperta di una vecchia scatola di latta contenente del tè, a riportarla là dove tutto è cominciato, a Roccamori.

Una storia fragile, come sono fragili le foglie essiccate del tè. Un po’ ai margini del romanzo, Elisa non è la protagonista, lo sono tutti i personaggi che di volta in volta si affacciano e raccontano la loro versione, la loro vita. Un susseguirsi di passaggi dai toni lievi, mesti, molto delicati. Gli errori del passato sono ferite aperte, porvi rimedio è impossibile, e lo sanno bene gli abitanti di Roccamori, che vengono spesso chiamati in causa per ciò che è stato. Il dolore non scompare, si può attenuare, ci si può convivere, ma nulla mai potrà cancellarlo. Le vicende si alternano tra passato e presente, tra mito e leggenda, tra verità e mistero. Elisa, esperta conoscitrice di tè, resta incantata dalla meravigliosa varietà di camelie presenti e coltivate nell’antica dimora di Vittoria, un’anziana signora del borgo, che ha la consuetudine di offrire alle donne di Roccamori, ogni pomeriggio, il tè nel giardino.

Ammaliata da questo antico rito, e incuriosita, Elisa avrà modo di conoscere le signore del borgo, e tra un sorso di tè ed un altro, verrà messa al corrente delle loro storie e quelle del passato glorioso del paese. Antiche leggende aleggiano ancora tra le mura della dimora, intrecciate a filo doppio con le vite di tutti loro. Amori inconsolabili, amori profondi e da tempo perduti, dal sapore dolce amaro, fanno da sfondo ai misteri che ruotano intorno al passato della madre. Ma come qualsiasi buon tè, ha bisogno di un tempo di infusione, e se è buono ti rimane il sapore fra i denti, come dicono i cinesi, e non te lo scordi più.

E questa storia è buona, ha bisogno di tempo, non è invadente, deve essere assaporata con pazienza, gustata con attenzione. Una lettura gradevole, di compagnia, che mi ha donato tanto. Prosa delicata, che lascia il segno. Un libro da regalare a chi crede nell’amore e non ha il coraggio di viverlo appieno, perché  “Il vero amore non era facile da trovare, non si lasciava fotografare. Il vero amore era scritto nelle rughe delle persone, sul fondo dei loro sguardi, nella fatica di un gesto. Il vero amore si nascondeva nei posti più impensati, in una tazzina da caffè, in una michetta alla cannella e all’anice, sotto la neve che scendeva in primavera. Fra i petali di una camelia gialla che restava fiorita solo pochi giorni all’anno”.

SCHEDA DELL’EDITORE
Gli amori grandi non dovrebbero avere un tempo, sono come l’aria, come l’acqua, come il cibo. Sono il sapore del mondo, che ti resta fra i denti, come dicevano i cinesi del tè. E quando finiscono ci lasciano da soli con i nostri errori, perché li abbiamo dati per scontati, senza controllare l’orologio. Ma l’orologio, con gli amori grandi, non serve, basta il ticchettio della lancetta dei secondi, basta lasciar scorrere gli istanti senza pensarci. Perché, se ci pensiamo, allora significa che il ticchettio è appena cessato.  L’amore di Elisa per il tè risale alla sua infanzia. È stata sua madre a insegnarle tutte le regole per preparare questa bevanda e ad associare, come per gioco, ogni persona a una varietà di tè. Daniele, il suo unico grande amore, è tornato dopo tanto tempo.

Ma Elisa ha imparato da sua madre a non fidarsi della felicità, a non lasciarsi andare mai, perché il prezzo da pagare potrebbe essere molto alto. Prima di tutto dovrà trovare se stessa, poi potrà capire se Daniele può renderla felice. Quando trova per caso una vecchia scatola di tè con un’etichetta che riporta la scritta “Roccamori”, il nome di un antico borgo umbro, Elisa ne è certa: si tratta del tè proibito della madre, quello che le fece provare solo una volta e che, lei lo sente, nasconde più di un segreto. Forse proprio lì, in quel borgo antico, Elisa potrà trovare le risposte che cerca e imparare a lasciarsi andare e a fidarsi dell’amore, guidata dall’aroma e dalle regole del tè…

L’AUTRICE
È una traduttrice che un giorno si è accorta di aver trascurato le proprie emozioni. Per la fretta, le aveva tutte cacciate da qualche parte dentro di sé, proprio come si fa con gli oggetti che non si ha il tempo di rimettere in ordine. Le emozioni, però, tornano a galla, e le sue lo facevano cogliendola alla sprovvista e commuovendola nei momenti meno opportuni. Ha iniziato a scrivere per questo, per vivere le proprie emozioni e tornare a credere nei propri sogni. Per saperne di più visita la sua pagina Facebook o il suo blog “Rosa pe rcaso”.

Katja Macondo

Recensione libro “La logica del lupo” di Alex Lake

Quante volte ci è capitato di fare tardi ad un appuntamento? Troppo impegnati a risolvere un problema dell’ultimo minuto, o semplicemente perché siamo incappati in un ingorgo, o in una fila chilometrica alla cassa del supermercato… A quante donne sarà capitato? Tantissime! Sempre di corsa, in una lotta perenne contro il tempo. Quel tempo che scandisce ogni secondo della giornata, che ti fa sentire inadeguata come madre e come donna. E questa è esattamente la situazione che sta vivendo Julia, giovane avvocato alle prese con un divorzio e con la responsabilità di una figlia.

È facile, quindi, commettere un errore, e un semplice ritardo può rivelarsi fatale. Anna, la figlia di Julia, una bambina di cinque anni è sparita nel nulla, volatilizzata. Il tutto davanti ai cancelli della scuola, nessuno ha visto e sentito nulla. Come è possibile rapire una bambina in pieno giorno e non essere notati o ripresi in alcun modo? Queste sono le tante domande che si pongono i genitori di Anna e gli investigatori che stanno cercando di far luce su un rapimento così anomalo. Pensieri spaventosi assillano Julia, immagini cupe che cominciano a prendere forma nella sua testa man mano che le indagini procedono. Nulla sembrava presagire un fatto così spaventoso, e tutti possono essere i colpevoli. Gli inquirenti si soffermano sul loro passato, sulla loro vita privata, sugli attriti, sull’imminente divorzio; e la stampa, nel frattempo, viene a conoscenza di alcune rivelazioni e scatena una aggressione mediatica nei confronti di Julia, unica colpevole agli occhi dell’intera società.

Quando nasce un figlio, nasce anche la paura. Solo chi è madre o genitore può comprendere questa sensazione, che dal giorno della nascita di un figlio, non ti abbandonerà più, e non importa se gli anni passano, se invecchiamo, la paura resta sempre lì, costantemente. Quante volte abbiamo detto o pensato “L’ho perso!”, può capitare su una spiaggia affollata, in un supermercato, al parco, ovunque, in un attimo e la nostra vita si svuota di colpo, nulla ha più importanza. Una parte di te non c’è più, è sparita. Le conseguenze sono troppo spaventose, e soffermarsi significa impazzire di dolore. La paura ti inonda l’anima e il corpo si contorce in un’unica morsa di dolore, anche respirare diventa una fatica. Preghi che non sia vero, prometti che non accadrà più, che sarai più attenta, e non lo perderai mai più di vista, neanche per un secondo. Julia è ossessionato dalle più tragiche conclusioni possibili. “Che sia perduto per sempre. Vivo o morto poco importa: non lo rivedrai più e non smetterai mai di cercarlo. Vivrai rimpiangendo quell’attimo di distrazione.” Cominci a riflettere sui limiti del tempo e dello spazio, avendo la consapevolezza di non poter essere in più posti nello stesso momento.

E questo ti procura un dolore insopportabile. La compassione che leggi sui volti di chi conosce il tuo dramma rende la situazione ancora più insostenibile. Non è il giudizio degli altri che ti importa, l’unico pensiero che ti assilla è trovare tua figlia. Perché a questo punto potrebbe essere ovunque, in mano a chissà chi, esseri malvagi capaci di far soffrire pene inimmaginabili alla tua bambina, trafficanti di bambini, pedofili.  “Quando leggeva queste cose sul giornale, Julia pensava che per i genitori fosse come veder morire un figlio. Adesso, però, si rendeva conto che era molto peggio: non c’era solo il dolore della perdita, ma anche la possibilità che il figlio stesse soffrendo pene inimmaginabili. Era peggio. Infinitamente peggio.” Un thriller dai contorni ambigui, il vero protagonista non è il carnefice, ma la madre con tutti i suoi tormenti. Il lupo gode nel vedere la sua vittima cedere, indugiare, dubitare anche di sé stessa.

È l’annientamento che lui cerca, l’unico suo scopo è toglierle tutto ciò a cui tiene di più, perché “Non tutti sono come te. Non tutti sono spinti dalle giuste motivazioni. Da fuori, potrebbe anche sembrare che tu sia come loro, che siate tutti sequestratori e assassini, ma non è così. Gli altri sono delinquenti rozzi e spregevoli. Quello che fai tu è diverso. È nobile. È necessario. È giusto. Ma non puoi aspettarti che la gente capisca.” Il ritmo lento non ha scoraggiato la mia lettura, anzi, ha nutrito le mie più profonde paure. Mi sono rispecchiata nei pensieri di Julia, mi sono sentita dentro la storia, coinvolta psicologicamente. Il filo conduttore è stato teso con intelligenza, i protagonisti ben delineati, con le loro debolezze, i contrasti e le loro delusioni. Un mix perfetto che ha alimentato il lupo, in agguato e pronto ad infierire il colpo mortale alla sua vittima predestinata. Come ogni thriller che si rispetti, non mancano colpi di scena e un finale mozzafiato, il tutto racchiuso un po’ frettolosamente nell’ultima parte del libro; un thriller psicologico anomalo, e per questo forse da leggere per esorcizzare le nostre angosce e per placare le nostre inquietudini.

Ringrazio la Neri Pozza per l’invito alla lettura.

SCHEDA DELL’EDITORE

Julia Crowne, avvocato divorzista, un matrimonio giunto ormai al capolinea, un’esistenza divisa tra l’essere una brava madre e una valente professionista, è alla guida della sua Volkswagen Golf diretta alla scuola della figlia. È in ritardo. L’incontro tra una sua assistita e la controparte si è protratto più del previsto, e Julia immagina già con ansia lo sguardo severo e seccato con cui la maestra di Anna, la sua bambina, l’accoglierà all’uscita della scuola. Minuta, capelli scuri, zainetto di Dora l’esploratrice sulle spalle e scarpette di pelle nera ai piedi, Anna varca i cancelli dell’istituto con i compagni e si guarda intorno in cerca di sua madre. Qualcuno la osserva. Qualcuno che dapprima si chiede come si possa essere così negligenti da lasciare sola una bimba di cinque anni, e poi agisce con risolutezza. Rapisce la bimba, la porta via con la logica di chi non si pone problemi riguardo a cosa è giusto o ingiusto, con la logica… del lupo che sbrana l’agnello senza alcun rimorso.

Trascorreranno ore angosciose in cui la polizia brancolerà nel buio e la tensione tra Julia e suo marito Brian, alimentata da rivelazioni scottanti sulla vita privata della giovane donna, rivelazioni misteriosamente pervenute alla stampa, giungerà a un punto di non ritorno. Finché un giorno non ricomparirà la piccola Anna, senza alcun segno di violenza addosso, senza ricordo del tempo della sua sparizione, se non la vaga memoria di una grande casa delle bambole in cui le parrà di aver dormito. Una ricomparsa inspiegabile per la logica comune, ma non per quella di un lupo, e dei suoi scopi perversi e crudeli.

Con La logica del lupo Alex Lake – pseudonimo dietro cui si nasconde un celebre scrittore inglese – consegna al lettore una storia avvincente e realistica sulla rete di pressioni, timori e drammi che si dipana attorno alla scomparsa di un minore, travolgendo la vita delle persone coinvolte. Un thriller psicologico mozzafiato, che mette in scena una delle paure più concrete e inquietanti del nostro tempo.

Katja Macondo

Recensione libro “I nostri cuori chimici” di Krystal Sutherland

La Rizzoli, con di Krystal Sutherland, ha fatto sicuramente un’ottima scelta editoriale. Un libro adatta ad un pubblico giovane, pensato per chi è alle prese con i primi amori, e per chi si confronta con passioni struggenti e delusioni cocenti. Quando mi hanno proposto questa lettura, a dir la verità, ero un po’ scettica, più volte ho avuto occasione di leggere libri appartenenti a questo genere, per arrivare alla conclusione che tutti, nel bene e nel male, seguono un cliché. La struttura dei racconti segue uno schema prestabilito e le trame tutte abbastanza prevedibile, la scelta dei protagonisti poi scontatissima. Insomma ero incuriosita, ma non troppo. Invece ho dovuto ricredermi, la storia mi ha conquistato subito, forse per la sua semplicità, forse perché una volta tanto sono i sentimenti del ragazzo ad essere messi a nudo.

Di fatti, la voce narrante Henry vuole conquistare il cuore della bella e triste Grace. Giovane studentessa da poco arrivata nella sua scuola. Le inquietudini amorose di Henry vengono di continuo messe in discussione da sè stesso, dai suoi amici, dalla sua famiglia. Ognuno si è fatto un’idea su Grace, tutte in contraddizione l’una con l’altra. Una ragazza alquanto misteriosa che cela un segreto troppo doloroso per essere svelato, neanche ad Henry, riuscirà solo dopo tanto tempo a far breccia nel suo cuore, a conquistarsi la sua fiducia e ad affacciarsi nella sua vita. Una vita ai margini di tutti, isolata nel suo mondo, lontana dalla spensieratezza, lontana dal cuore di Henry. Sfuggente, imprevedibile, malinconica, si concede di rado agli altri, di rado compare la ragazza sorridente di una volta. Li accomuna l’amore per la scrittura e questo darà loro modo di confrontarsi, l’occasione giusta per conoscersi meglio. Le strane abitudini di Grace, reduce da un brutto incidente stradale, portano Henry a porsi delle domande.

Vorrebbe conoscere meglio questa ragazza, così sfuggente, spettrale. I loro dialoghi sono un lento e inesorabile crescendo di emozioni, si percepisce la purezza dei sentimenti in gioco. Questa è sicuramente la caratteristica che più di tutte mi ha meravigliato e conquistato. Non c’è fretta, l’amore va vissuto assaporando ogni attimo. Henry percepisce il disagio di Grace più di chiunque altro, lotta con tutte le sue forze, vuole dare una chance a questo amore. Ma è difficile, gli ostacoli sono dentro l’anima spezzata di lei, che non riesce a lasciar andare quella parte di sè legata indissolubilmente al suo primo grande amore.

“Avevamo un amore difficile, io e Grace, quel tipo di amore che ti faceva annegare se ti immergevi troppo. Era un amore che ti legava piccoli pesi al cuore, uno alla volta finché lui diventava così pesante che si staccava dal petto.” Essere una comparsa nella vita di Grace diventa l’ultima e forse l’unica alternativa di Henry. Si rende conto che a Grace serve un amico, non un ragazzo. Poteva essere solo questo per lei, poteva essere un buon amico. Sarà disposto? Riuscirà a sopportare il dolore di una tale verità? Non l’avrebbe mai costretta a scegliere tra lui e il suo passato. Nonostante lei lo ami a modo suo, non c’è soluzione. Grace non è disposta a perdonarsi. “Grace Town è stata una esplosione chimica nel mio cuore.

È stata una stella che si è trasformata in supernova. Per qualche fugace attimo ci sono stati luce e calore e dolore, più luminosi di una galassia, e nella sua scia lei non ha lasciato altro che oscurità. Ma la morte delle stelle fornisce i mattoni della vita Tutti noi siamo fatti di materia stellare. Tutti noi siamo fatti di Grace Town.” Lettura pulita, priva di fronzoli, pensato per i giovanissimi, ma in realtà per tutte le età. Un’esperienza ricca di significato e con molti messaggi positivi racchiusi in una prosa poetica e riflessiva. Le disquisizioni sull’amore, sull’universo, sulla chimica, tutte bellissime ed intense, arricchiscono l’intero percorso di lettura. Quello che mi ha colpito di più è stata la semplicità del racconto che arriva dritta al cuore del lettore, perché l’amore resta l’unico protagonista. Henry e Grace, due ragazzi qualunque che devono fare i conti con le delusioni e con la realtà, perché alle volte i sogni bisogna lasciarli andare, “le persone non sono contenitori vuoti che puoi riempire con i tuoi sogni a occhi aperti.”

SCHEDA DELL’EDITORE

Henry Page ha 17 anni e non si è mai innamorato. Paradossalmente, la colpa è del suo inguaribile romanticismo: Henry è da sempre così aggrappato al sogno del Grande Amore da non aver lasciato spazio alle cotte che da anni elettrizzano le vite dei suoi amici. Non è una scena da film nemmeno il primo incontro con Grace Town: Grace cammina con il bastone, porta vestiti da ragazzo troppo grandi per lei, ha sempre lo sguardo basso. Complice il giornale della scuola, Henry se la ritrova vicina di scrivania, e presto precipita nella rete gravitazionale di Grace, che più conosce, e più diventa un mistero. Grace ha ovviamente qualcosa di spezzato e questo non fa che attirare Henry, convinto di poterle ridonare quel sorriso che fino a pochi mesi prima la accompagnava ovunque. Ma forse il Grande Amore è più amaro di quanto i romantici credano.

Katja Macondo

Recensione libro “L’armonia segreta” di Geraldine Brooks

Leggere “L’armonia segreta“, edito da Neri Pozza, è stata una necessità impellente, inarrestabile. Ho gustato parola per parola, letto avidamente ogni riga, per catturare tutta la bellezza racchiusa nell’ultimo romanzo di Geraldine Brooks, giornalista, scrittrice, premio Pulitzer. Con lei ho imparato a rivalutare ed apprezzare il romanzo storico. Ogni volta è una nuova ed interessante esperienza letteraria, ma non solo, si ha la netta impressione, con i suoi libri, di raggiungere una nuova meta, di impossessarsi di una nuova pagina del passato. La sua prosa, fluida, essenziale, ricca, ti guida attraverso la vita dei protagonisti. La qualità più evidente della Brooks è sicuramente la semplicità, arrivare al lettore con chiarezza, senza dubbio alcuno, senza fraintendimenti, c’è solo la storia che parla attraverso la sua penna. I suoi romanzi storici hanno un’accezione moderna, non si sente mai il peso del racconto, che il più delle volte è cruento, spietato, violento. Ci si immerge con naturalezza in epoche lontane, nelle vesti di personaggi del passato, senza accorgersi del divario temporale.

La modernità della sua scrittura mi ha sempre incantato, ricordo con nostalgia “I custodi del libro” e “Annus mirabilis” in particolar modo, due grandissime opere letterarie che consiglio a tutti di leggere. Con L’armonia perfetta, ho sperimentato sulla mia pelle la bellezza della scoperta. Conoscevo poco, o quasi nulla, del protagonista di questo romanzo, sto parlando di re David. Un uomo, che da semplice pastore è diventato re d’Israele. L’autrice riporta in vita questo personaggio, tra mito e realtà, discostandosi dalla versione biblica, offrendo una nuova prospettiva.

Emergono nel libro i tanti volti di questo re, tra verità storiche e leggenda. Una figura contradditoria, che si presenta ora spietata, sanguinaria, ora amabile, giusta ed equa. Intelligente come pochi, ha saputo fin dalla tenera età aggirare gli ostacoli posti sulla sua strada, la sua caparbietà e la sua indole indomita ne hanno fatto un fiero guerriero, un eroe osannato, ma nello stesso tempo un brigante e un despota.

Ne emerge un ritratto poco lusinghiero di un re amato e odiato, e proprio per questa sua umanizzazione, la sua figura in questo contesto risalta ancora di più. I suoi difetti amplificano le sue gesta, dando conferma della sua generosità e della sua passionalità, che hanno segnato i suoi passi nel bene e nel male. I suoi amori, numerosi e variegati, lo hanno accompagnato fino alla fine. Le sue mancanze come genitore, segnano un’epoca di conflitti familiari per la successione, che sfocerà nel peggiore dei crimini, il fratricidio.

Tutta la vita a lottare contro i nemici del suo popolo, alla ricerca ossessiva del potere, della vendetta, della supremazia, per ritrovarsi vecchio e solo a difendersi dai propri figli. Un magnifico romanzo d’avventura e, insieme, un’epopea incentrata sulla fede, sempre presente attraverso la voce narrante di Natan, profeta e veggente, fedele servitore e consigliere di re David; ci narra delle sue gesta sempre in armonia con il divino, con la Voce, che puntualmente si esprime attraverso Natan nei momenti di maggiore difficoltà, guidando il re nelle sue scelte.

Il suo regno è durato quaranta anni ed è stato considerato il vero fondatore del reame iraelitico, di lui si ricordano la sua abilità politica e il suo coraggio, che gli permisero di unificare le varie tribù d’Israele, in contrasto da sempre. Ricordiamo, inoltre, che re David designò in punto di morte come suo successore il figlio Salomone, ricordato dalla Storia come re buono e giusto, lasciandogli in eredità un regno nel massimo dello splendore. “La tua gente vivrà in pace” dissi. ”Ciò che tu hai conquistato a prezzo di molto spargimento di sangue, ciò che tu hai iniziato, verrà portato a compimento da tuo figlio. E finché egli regnerà, il popolo della nostra terra vivrà in pace e sicurezza, ognuno sotto la propria vite e sotto il proprio fico”. Romanzo potente, affascinante, ne consiglio la lettura per ammirare da vicino uno dei leader più contraddittori della Storia.

TRAMA

È l’alba di una calda estate del X secolo a.C. quando il piccolo Natan è destato dal sonno da grida atroci, provenienti da ogni parte del villaggio lungo le rive del Mar Rosso, dove da tempo immemorabile la sua famiglia esercita il mestiere di vignaioli. Si precipita fuori casa, e la scena che si apre davanti ai suoi occhi è raccapricciante. Suo padre e suo zio giacciono in un lago di sangue, e davanti ai suoi occhi, la daga ancora stretta nella mano, si erge l’assassino: David, il figlio di Yshay di Bet Lehem. Accampato nei pressi del villaggio, chiedeva da qualche giorno una decina di otri di vino e qualche sacco di datteri per sé e i suoi uomini e, dinanzi al rifiuto del padre di Natan, è penetrato furtivamente di notte tra le case per vendicarsi. Col volto rigato di lacrime, Natan fissa negli occhi quel giovane uomo noto nell’intero Israel per il suo coraggio, la sua audacia e il suo talento nel trarre le armonie più segrete dall’arpa che tiene sempre con sé.

Da ragazzo, a Emeq Elah, ha messo in fuga i Filistei, uccidendo con un colpo di fionda ben assestato il gigante Golyat. Valente guerriero, è stato a capo di tutte le armate di re Shaul, finché un giorno il re, accecato dalla gelosia, gli ha scagliato contro una lancia, e lo ha costretto alla fuga e a una vita da brigante e predatore di villaggi indifesi. Natan dovrebbe esplodere d’ira e di rabbia, ma, mentre una strana calma si impadronisce di lui, comincia a proferire delle parole che non riesce a sentire, ma che turbano profondamente David e i suoi compagni. Parole dettate da una Voce che parla attraverso la sua bocca. Parole che annunciano una grande profezia: il figlio di Yshay di Bet Lehem, il guerriero divenuto brigante per volontà di Shaul, sarà incoronato re di Yehudah, farà un solo popolo delle tribù del Nome, fonderà il regno imperituro di Israel.

E lui, Natan, piccolo pastore e vignaiolo del Mar Rosso, sarà il suo profeta. Da eroe a brigante, da re amato a despota, tutti i volti di re David emergono in questo libro, in cui l’autrice di Annus mirabilis ripercorre l’appassionante storia di un uomo che oscilla tra verità e leggenda, creando un magnifico romanzo d’avventura e, insieme, una magistrale epopea sulla fede, il desiderio, l’ambizione, l’amore e il tradimento.

L’AUTRICE

Geraldine Brooks ha vinto il Pulitzer Prize con il romanzo L’idealista (Neri Pozza 2005). Autrice di due saggi di grande successo: Nine Parts of Desire: The Hidden World of Islamic Women e Foreign Correspondance, corrispondente di guerra per il Wall Street Journal, il New York Times e il Washington Post, Brooks è nata in Australia e vive oggi in Virginia, negli Stati Uniti. Il suo primo romanzo, Annus mirabilis, è stato un bestseller internazionale.

Katja Macondo

Recensione libro “Freddo fuoco bruciato” di Marisa Pezzella

Merito alla giovane autrice emergente, Marisa Pezzella, per aver scritto un libro credibile, da tutti i punti di vista. Con un taglio semplice, aperto, le storie di Eva, Dylan e Riccardo ci entrano nell’anima. La trama ti cattura fin dalle prime pagine, nulla è scontato o prevedibile, le storie sono affini alla nostra realtà.

Quando il dolore per una perdita ci annienta, nel fisico e nella mente. Ritrovandoci a lottare contro l’incapacità di accettare questa sofferenza, e si intraprende una lotta quotidiana con i propri sensi di colpa. Il sentirsi sempre sul baratro, ed esserne consapevoli, ma incapaci di reagire, cercando soluzioni lì dove c’è solo il piacere di un attimo, senza trovare la pace tanto sognata. “Portami via” sussurrò sulle labbra di Veronica…

L’intero romanzo ruota intorno a tre personaggi, tutti alle prese con i propri fantasmi. Con i ricordi di un passato onnipresente, difficile da archiviare. Le loro vite si incroceranno, si scontreranno per vari e diversi motivi, si intuisce un legame, qualcosa che li accomuna, ma resta ben celato fin quasi alla fine, grazie e merito alla Pezzella, per la giusta dose di suspense e pathos. Le emozioni sono il cardine dell’intera vicenda, albergano in ogni pagina con eleganza senza mai strafare, ogni lettore può rispecchiarsi, sentirsi dentro alla storia. Questo l’ho apprezzato moltissimo, non c’è esasperazione, c’è la storia, nuda e cruda, tutto si concentra sulle loro vite, sugli inganni, le sofferenze, ma anche sulla bellezza dell’amore, dei primi amori.

Una bellissima storia d’amore incornicia la prima parte del libro, si respira l’intensità dei sentimenti, la felicità nel riconoscere la propria anima gemella, Eva e Dylan sentono dal primo momento di appartenersi, i loro sentimenti sono autentici, il lettore lo sa, lo sente.

“Lui è diventato quello che è per me perché completa ogni attimo di me e di noi insieme. È quel battito essenziale, ritmico e incalzante in ogni canzone. È come se prima di lui io fossi stata una semplice melodia… Lui con il suo sapore, il suo odore, la sua voce e il suo amore ha aggiunto dei piccoli suoni, quelli simili al ritmo dei battiti del cuore… Ha dato ritmo ed energia alla mia vita e, sussurro dopo sussurro, è diventato essenziale, nella mia vita come nella canzone.”

È talmente costruita bene la vita sentimentale dei personaggi, che anche solo poche righe, dove viene solo accennata una nuova storia, un nuovo amore, ti cattura, ti prende, ti emoziona. Freddo fuoco bruciato non è solo questo, è molto, molto di più. Con un’innata bravura, l’autrice è riuscita a costruire una storia dai contorni gialli, intorno e attraverso i protagonisti. Un thriller che non ha nulla da invidiare ad altri noti autori. Le esperienze oniriche e le visioni ultraterrene sono una presenza importante, sono il rovescio della medaglia dell’anima tormentata di tutti loro, sono l’espressione “soggettiva” della sofferenza. È un altro modo per sopperire alla mancanza di un proprio caro, per darsi forza e una ragione per continuare a vivere. Un bel diversivo che ha arricchito questa lettura, rendendola ancora più reale.

“Perché non riesco a essere dipendente dal suo sorriso, allora? Lei non ha marchiato solo il mio corpo, ma anche la mia anima. Ecco perché.” Sono onorata per aver avuto occasione di leggere questo bellissimo romanzo d’esordio di Marisa Pezzella, che mi ha fatto un bellissimo dono, mi ha lasciato l’uscio socchiuso, uno spiraglio, da dove sbirciare e attendere con trepidazione il sequel. Non vedo l’ora di leggerlo e farmi incantare ancora dalla sua prosa. “… non voglio ricominciare da un uomo per essere felice; voglio ricominciare da me.” Consiglio le vite di Eva, Dylan e Riccardo, una storia da non perdere.

SCHEDA DELL’EDITORE

La fiamma di una candela accesa si trova ad affrontare condizioni climatiche avverse e sembra sia destinata a spegnersi, cedendo al suo inevitabile destino. Il suo calore e la sua volontà di ardere sono però così forti da spingerla a combattere vento, freddo e pioggia. Proprio dentro se stessa troverà la capacità e la forza di rinascere, più viva e vigorosa di quanto non lo sia mai stata.

Questa è la leggenda che il nonno raccontava sempre a Riccardo da piccolo e che lo ha segnato per tutta la vita. Ma questa è anche la metafora puntuale del percorso di crescita che i due protagonisti si trovano ad affrontare, superando ostacoli e avversità, ma, soprattutto, superando se stessi. Freddo Fuoco Bruciato non è però un romanzo di formazione; non è un romanzo rosa, anche se l’amore è il suo motore; non è un thriller, anche se la morte viene inflitta e il colpevole deve essere trovato. Questo romanzo è piuttosto un insieme profondo e avvincente di tutti questi elementi, che l’autrice mescola con grazia e sapienza.

L’AUTRICE

Marisa Pezzella, nata a Caserta (CE) nel 1991, è studentessa universitaria di Scienze della Formazione nelle Organizzazioni presso l’Ateneo di Verona. Trasferitasi con la famiglia a Mantova nel ’99, è in queste terre virgiliane che scopre il piacere per la lettura e la scrittura. Risalgono al 2005 i suoi primi scritti, per lo più racconti brevi e alcuni romanzi inediti. Freddo fuoco bruciato è il suo romanzo d’esordio, ambientato a Mantova.

Katja Macondo

Recensione libro “Lo stupore di una notte di luce” di Clara Sànchez

Per chi ancora non lo sapesse, “Lo stupore di una notte di luce”, edito da Garzanti, è il seguito di “Profumo delle foglie di limone” di Clara Sànchez. Mi sono avvicinata a questa nuova lettura con un po’ di scetticismo, alcuni titoli pubblicati dalla Sànchez in questi ultimi anni mi hanno lasciato con l’amaro in bocca. L’errore più grande che commette il semplice lettore è la ricerca ossessiva delle stesse atmosfere trovate in un grande successo editoriale. Questo è stato il caso di “Profumo delle foglie di limone”, enorme riscontro di pubblico e lettori, ottima critica e vendite consistenti. Ricordo questo libro con piacere, quindi venire a conoscenza di una continuazione mi ha emozionato e nello stesso tempo mi ha messo in allarme. Non volevo incappare in una nuova delusione. Invece sono felice di annunciare che “Lo stupore di una notte di luce” ne è una degna continuazione, ho ritrovato una grande Clara Sànchez. La sua penna mi ha riportato nel punto in cui avevo lasciato i vari protagonisti.

Li ho ritrovati forse un po’ ammaccati, a leccarsi qualche ferita, ma pronti a difendere con le unghie e i denti le persone che amano, fino alla fine. Innanzitutto merito all’autrice per aver saputo aggiungere alla storia una nuova ed agghiacciante pagina. Ci ha mostrato l’altro lato della medaglia, quello dell’inganno, dell’avidità e della vendetta. Non sono bastate le atrocità commesse nel passato e quelle perpetrate dopo, ora si scopre un presente inquietante. La degna continuazione di un’ideologia creduta sepolta, sconfitta, ma a quanto pare più viva che mai. Le indagini proseguono su diversi fronti, e Julian sarà di nuovo costretto a coinvolgere e avvertire Sandra di un pericolo imminente. Gli ”altri” sono sulle loro tracce e non si fermeranno davanti a nulla, neanche di fronte alla vita di un bambino. Tutti insieme Sandra, Julian e Santi si ritroveranno ad un certo punto a commettere azioni degne dei loro acerrimi nemici. Giocheranno la partita ad armi pari, si tramuteranno in carnefici per costringere la Confraternita a rendere loro quello che gli è stato ingiustamente sottratto. Una escalation di emozioni, un ritmo serrato, intelligente ed intrigante, ottima costruzione della storia che si evolve in un continuo crescendo.

Lo spunto da cui l’autrice è partita è il motivo per cui anche questa storia risulta molto credibile. Le vicende sono paurosamente vere, le indagini dell’Interpol e le informazioni giornalistiche, ci hanno dimostrato che tutto questo è possibile, nessuno è immune di fronte a questa eventualità. Sandra è stata la vittima fin dal primo momento, è stata gli occhi di tutti noi, quella che ci ha fatto sentire e vedere questa possibilità. I giornali in questi anni hanno regolarmente narrato di vicende simili, la scoperta di ex ufficiali delle SS scovati in Spagna e in America Latina, confusi tra i molteplici turisti, a condurre una vita in apparenza normale.

Le Confraternite sono organizzazioni di ex ufficiali nazisti, nate con l’unico scopo di tener viva l’ideologia nazista. Sandra aiuterà Julian, un ex internato di Mauthausen, a scovare e consegnare alla giustizia gli ex gerarchi nazisti scappati alle maglie della Giustizia. Julian, grazie al suo amico Salva, viene a conoscenza di un segreto che una volta rilevato potrebbe mettere in pericolo l’intera Confraternita, minandolo dalle basi. L’intelligenza e la perseveranza sono l’unica arma in mano di Julian che riesce, nascosto nell’ombra a seguire tutte le loro mosse e anticiparli. Coinvolgerà Sandra, e sarà lei a pagarne il prezzo più alto. Nessuno ne uscirà immune, fino alla fine, quando tutto sembrerà finito, e la vita riprenderà il suo corso, resterà sempre la sensazione che al male non ci sarà mai fine.

TRAMA

È una notte stranamente luminosa. Una notte in cui il buio non può più nascondere nulla. Lo sa bene Sandra mentre guarda suo figlio che dorme accanto a lei. Ha fatto il possibile per proteggerlo. Ma nessuno è mai davvero al sicuro. Soprattutto ora che ha trovato nella borsa dell’asilo un biglietto. All’interno poche parole che possono venire solo dal suo passato: “Dov’ è Julian?”. All’improvviso il castello che ha costruito crolla pezzo dopo pezzo: il bambino è in pericolo. Sandra deve tornare dove tutto è iniziato. Dove ha scoperto che la verità può essere peggio di un incubo. Dove ha incontrato due vecchietti che l’hanno accolta come una figlia, ma che in realtà erano due nazisti con le mani sporche di sangue innocente che inseguivano ancora i loro ideali crudeli e spietati. È stato Julian ad aiutarla a capire chi erano veramente. Lui che, sopravvissuto a Mauthausen, ha cercato di scovare quei criminali ancora in libertà. Lui ora è l’unico che può conoscere chi ha scritto quel biglietto e perché. Julian sa che la sua lotta non è finita, che i nazisti non si sono mai arresi. Si nascondono dietro nuovi segreti e tradimenti. Dietro minacce sempre più pericolose. E quando il figlio di Sandra viene rapito, l’uomo sente che bisogna fare qualcosa e in fretta. Perché in gioco c’è la vita di un bambino. Ma non solo. C’è una sete di giustizia che non può essere messa a tacere ancora. Chi ha sbagliato deve essere punito. Nessun innocente deve più farlo al posto loro.

Clara Sanchez regala finalmente ai suoi lettori il libro che aspettavano da anni. Il seguito di uno dei romanzi più venduti e amati degli ultimi anni: Il profumo delle foglie di limone. Un milione di copie vendute solo in Italia e ancora in classifica a cinque anni dall’uscita. L’autrice spagnola vincitrice dei più prestigiosi premi letterari torna a raccontare di Sandra e Julian. Torna a raccontare di una verità sconvolgente che pochi conoscevano. Lo stupore di una notte di luce è una storia indimenticabile sulla forza delle scelte e il coraggio di non tradirle. Sulla impossibilità di dimenticare il male e sulle colpe che devono essere punite. Una storia di amore e speranza dove nessuno crede che possa essercene ancora.

L’AUTRICE

Clara Sánchez ha raggiunto la fama mondiale con il bestseller Il profumo delle foglie di limone, in cima alle classifiche di vendita per oltre due anni. Con Garzanti ha pubblicato anche La voce invisibile del vento e Entra nella mia vita. È l’unica scrittrice ad aver vinto i tre più importanti premi letterari spagnoli: il premio Alfaguara nel 2000, il premio Nadal nel 2010 e il premio Planeta nel 2013 con “Le cose che sai di me”.

Katja Macondo

Recensione libro “Un figlio” di Alejandro Palomas

Sono stata travolta da “Un figlio” di Alejandro Palomas, incapace di lasciar andare questa storia neanche per un attimo, l’ho letto tutto d’un fiato. Guille ci racconta la sua vita, in modo semplice, come solo un bambino sa fare. Le sue parole sfidano il concetto di realtà, il suo rifugio è la fantasia, e i suoi pensieri sono senza filtro. Perché negare a questo bambino le sue fantasie? Perché impedirgli di credere che Mary Poppins risolverà tutti i suoi problemi? Tutti si affannano a negare le sue fantasie, a cominciare dal padre che un po’ se ne vergogna e un po’ non riesce a gestirle. Anche la sua maestra tenta di farlo, convinta che le fantasie del bambino, nascondano un problema più grande alla base, “è solo la punta dell’iceberg”, afferma. Infine sarà Maria, la psicologa, a scoperchiare la scatola dei segreti di Guille.

“Credo che il Guille che vediamo sia il pezzo di un puzzle, e che, nascosto sotto questa felicità, ci sia un… mistero. Un pozzo da dove forse ci chiede di essere tirato fuori.” Alternandosi, saranno loro stessi a narrarci di Guille, che vive l’assenza della madre come un abbandono, ed è così forte il dolore che si rifugia nella magia di Mary Poppins. “… quando hai problemi brutti e tristi, ricorda Mary Poppins, dì la parola magica molto forte per farmi sentire e tutto, tutto, cambia sempre, sì? Mi ha guardato e…ha cantato Supercalifragilistichespiralidoso”. Tutti i ricordi della madre sono legati alla storia di Mary Poppins, e le sue canzoni, i film, lo aiutano a sopportare la nostalgia che lo attanaglia. Questi ricordi lo sostengono durante questa sua elaborazione, la mancanza della madre è troppo grande per lui, quindi l’unica strada per ritrovarla è attraverso i suoi racconti, le sue fiabe, il suo sorriso.  Riesce a confidarsi solo con la sua amica Nazia, una bambina Pakistana, anche lei alle prese con i propri drammi, legati ad un matrimonio combinato con un uomo molto più vecchio di lei, così piccola e già costretta a fare i conti con un futuro tanto spaventoso.

Guille vorrebbe aiutarla, non sa come fare, spera di farlo attraverso la magia di Mary Poppins, ma la famiglia di Nazra non approva la loro amicizia e di conseguenza gli viene impedito di frequentarla. Tutto va storto, sua madre è lontana, ha perso la sua amica, a scuola lo deridono, e suo padre continua a rinchiudersi nello studio a piangere.

Si ritrova perso nel labirinto di cose che non capisce perché è troppo piccolo per gestirle e accettarle da solo. “La mente umana è come la vita: un labirinto che spesso tira fuori cose inimmaginabili da colui che vi si perde.” La psicologa diventa, quindi, la sua unica interlocutrice, di lei si fida, e pian piano comincia a raccontarle i suoi segreti, e lo fa attraverso i suoi disegni. Improvvisamente un intero universo si schiude davanti agli occhi di Maria, e con una clamorosa ed inaspettata scoperta, riesce finalmente a liberare questo bambino dall’enorme peso che grava sulle sue “piccole” spalle, un dolore troppo grande per lui.

“La cosa veramente strana è che, quando finalmente la si scopre, la verità non permette scelte a lungo termine. Ci obbliga ad agire, quasi sempre con urgenza.” Donandogli spensieratezza e fiducia nel domani, con accanto la persona che lo ama più al mondo, suo padre. Non nego che questo libro mi ha molto emozionato.

Ha toccato la mia anima. Nonostante la drammaticità che si percepisce, non è un libro triste, è piuttosto un inno alla rinascita, alla speranza. La storia si racconta da sola, i personaggi si alternano con delicatezza, in punta di piedi, senza clamore. Il lettore è preso per mano da Guille, che lo accompagna lungo la sua vita di bambino, con l’ausilio della verità e della fantasia. La prosa è di una disarmante semplicità, mi ha incantata, un’arma vincente per questo genere di storia. Non c’è stato un attimo di esitazione durante la lettura, fluida ed elegante. Da porre l’accento sulla perfetta immedesimazione nei personaggi, ho apprezzato l’equilibrio e la profondità di ognuno. A pieno titolo, Palomas è diventato uno dei miei autori preferiti! Libro consigliatissimo e adatto ad un vasto pubblico di lettori, sicuramente un dono gradito da chi lo riceverà.

TRAMA

Guille non ha niente in comune con i suoi compagni di quarta elementare: è taciturno, non ama il calcio e ha sempre la testa tra le nuvole. Sarà perché non si è ancora ambientato nella nuova scuola, dice suo padre, Manuel Antúnez, quando la maestra Sonia lo convoca d’urgenza in aula docenti. Sonia, però, scuote la testa. Quella mattina, prima dell’intervallo, ha chiesto agli alunni che cosa avrebbero voluto fare da grandi. C’è chi ha risposto il veterinario, chi Beyoncé, chi ancora l’astronauta, Rafael Nadal o la vincitrice di The Voice. Guille ha risposto… Mary Poppins. E ha anche motivato la sua scelta: vuole essere Mary Poppins perché è una signora simpatica che sa volare, ama gli animali e, quando non lavora, può nuotare nel mare insieme ai pesci e ai polipi.

Sonia consiglia a Manuel di affiancare al bambino una psicologa scolastica che lo aiuti ad aprirsi con i compagni e a non rifugiarsi in un mondo immaginario e strampalato, e il padre si dice d’accordo.

Nessuno dei due adulti ha, però, intuito il vero motivo della risposta di Guille. Avere i poteri magici di Mary Poppins significa per il bambino risolvere d’incanto tutti i suoi problemi. Gli basterebbe, infatti, cantare Supercalifragilistichespiralidoso e sua madre tornerebbe a casa, suo padre smetterebbe di passare le sere a piangere e la sua amica Nazia non sarebbe costretta ad andare in Pakistan a sposare un signore anziano che neppure conosce…

Guille è stufo che tutto il mondo continui a ripetergli che è soltanto un bambino e che i bambini non possono capire certe cose. Lui, invece, le capisce benissimo. Sa perfettamente che suo padre lo mette a letto e poi va a rimestare in una vecchia scatola nascosta sull’ultimo ripiano dell’armadio. Sa, soprattutto, che è un vero mistero che sua madre sia andata a lavorare a Dubai come hostess di volo e non sia ancora tornata…

Con la sua prosa lieve, Alejandro Palomas – «un ritrattista dell’animo umano, uno degli scrittori più amati e promettenti della nostra letteratura» (Culturamas) – regala ai lettori una favola tenera e profonda che riflette sulla distanza emotiva che un dolore improvviso può instaurare tra un padre e un figlio. Un romanzo pieno di grazia e di speranza che parla al cuore di chi non vuole smettere di credere ai propri sogni.

L’AUTORE

Alejandro Palomas è nato a Barcellona nel 1967. Laureato in letteratura inglese, traduttore di Katherine Mansfield, Gertrude Stein, Willa Cather e Jack London, scritto romanzi come A pesar de todo, El tiempo del corazón (premio Nuevo Talento FNAC, 2002) e El secreto de los Hoffman (finalista Premio Torrevieja 2008), e racconti come Pequeñas bienvenidas. ConTanta vita (Neri Pozza 2008) ha ottenuto un grande successo di critica e pubblico.

Katja Macondo

Recensione libro “La rivoluzione italiana” di Patrick Keyes O’Clery

«Soldati, poiché il nostro Santo Padre Pio IX si è degnato di affidarmi la difesa dei suoi conculcati e minacciati diritti, non ho esitato un istante solo a impugnare la spada. Al suono di quella voce venerabile che ha già fatto conoscere dalla sommità del Vaticano i pericoli che circondano il Patrimonio di S. Pietro, la Cattolicità si è scossa e questo movimento si propaga ai confini del mondo. Il cristianesimo non è solo la religione del mondo civilizzato, ma è la sorgente e l’essenza stessa della civiltà. Da quando il Papato è divenuto il centro della Cristianità, tutte le nazioni cristiane mostrano, anche in questi giorni, una coscienza sicura di quelle verità sulle quali è basata la nostra Fede. Come l’islamismo una volta minacciò l’Europa, così è ora per lo spirito della Rivoluzione e, oggi come allora, la causa del Papato è la causa della civiltà e della libertà nel mondo. Soldati! Abbiate fiducia: siate sicuri che Dio sosterrà il nostro coraggio e lo innalzerà all’altezza di quella causa, la cui difesa ha ora concesso alle nostre armi».

Queste parole del generale delle truppe pontificie La Moricière, pronunciate nell’aprile del 1860, rendono bene l’idea del clima nel quale si realizzò l’Unità d’Italia.
Da un lato c’era il papa Pio IX, il quale aveva proposto ai legittimi sovrani della nostra penisola una “bozza di Trattato per la Lega Italiana”, che creasse un nuovo Stato federale, rispettoso di tutte le tradizioni e dei diritti preesistenti alla sua costituzione.
Dall’altro c’era il Regno di Sardegna di Vittorio Emanuele II e del suo primo ministro Cavour, i quali si posero a capo del progetto ideologico liberale, ispirato dalla Rivoluzione francese e dalla massoneria internazionale: quello di creare uno Stato italiano fortemente centralizzato, che facesse tabula rasa del Papato e della tradizione cattolica del popolo italiano.
“La Rivoluzione delle Barricate” e “La Formazione del Regno d’Italia”, due fondamentali studi dell’avvocato irlandese P. K. O’Clery – testimone oculare degli eventi che portarono alla famosa “Breccia di Porta Pia” del 20 settembre 1870 – documentano in modo impressionante le “eroiche” imprese di tutti coloro i cui nomi fanno bella mostra di sé sulle strade delle nostre città: i già citati Vittorio Emanuele II e Cavour, Garibaldi, Mazzini, il generale Cadorna e così via.
Ne esce un quadro desolante, fatto di corruzione, tradimenti, furti generalizzati a danno di Stati in precedenza prosperi e pacifici, confische dei beni della Chiesa ed azzeramento di tutte le opere di carità costruite nel corso dei secoli, aumento a dismisura del debito pubblico nazionale per sostenere la politica guerrafondaia del nuovo Stato unitario, imposizione della leva militare per tutti i giovani, aumento a dismisura delle tasse per mantenere l’esercito, impegnato a sedare la rivolta del Sud Italia, sudditanza nei confronti dei governi liberali e massoni europei, in particolare del governo inglese, ferocemente anticattolico…
In tale scenario di morte e desolazione, brilla una luce fulgida: quella di Pio IX e dei suoi giovani soldati, gli Zuavi, accorsi da tutto il mondo cristiano a sacrificare la vita per la difesa del Papa e del suo Regno. L’Autore, che fece parte di quel Corpo scelto, vi dedica pagine commosse e commoventi, come quando descrive l’evacuazione delle truppe pontificie, in seguito alla conquista di Roma da parte dell’esercito italiano: «… il Papa apparve al balcone, e, levando le mani al cielo, pregò: “Che Iddio benedica i miei figli fedeli!”. L’entusiasmo di quel momento supremo fu indescrivibile. Con un frenetico Eljen! (Evviva!; ndr.) uno zuavo ungherese sfoderò la spada e subito, con un simultaneo struscìo di acciaio, migliaia di spade sguainate brillarono al sole. (…) Al pensiero di lasciare il Santo Padre, lacrime di amarissimo rimpianto solcarono le guance di quegli uomini, che avevano sfidato la morte in tante disperate battaglie. Le trombe diedero l’ordine di avanzare e, nel muoversi, la testa della colonna lanciò un ultimo triste grido di “Viva Pio IX!”, che, riecheggiato fila dopo fila, fu ripetuto da tutto l’esercito e dalla folla radunatasi per assistere alla partenza».
“La Rivoluzione Italiana”, pubblicazione che raccoglie i due citati studi di O’Clery, può essere un’occasione d’incontro con un periodo importantissimo quanto misconosciuto della storia del nostro Paese, periodo nel quale si formarono le cause della nostra purtroppo debole identità nazionale. È un’occasione per capire meglio il nostro presente.

Daniele Meneghin

Recensione libro “Il Falsario” di padre Livio Fanzaga

«Ogni guerra si combatte per degli scopi, più o meno manifesti. Gli uomini non esitano a distruggere e a distruggersi per i beni materiali o per ragioni di egemonia, di dominio e di potere. (…)
A un livello più elevato, invisibile ma realissimo, si combatte una battaglia ben più grande, che coinvolge cielo e terra, e la cui posta in palio non è qualcosa fuori di te, ma sei tu stesso. L’uomo è l’essere più conteso che esista. Fin da quando si trova nel paradiso terrestre è insidiato da un nemico astuto e malvagio che lo vuole rapire a Dio e sottoporre al suo spietato dominio. Le ultime pagine della Scrittura ti mostrano l’esito finale di questa interminabile guerra, che vede il trionfo di Cristo e i suoi nemici che precipitano nello stagno di fuoco e di zolfo. Al centro di questa immane contesa fra Dio e Satana ci sono gli uomini.»

Con queste parole si apre “Il Falsario”, un libro bellissimo e terribile nello stesso tempo, scritto dal direttore di Radio Maria, padre Livio Fanzaga.
L’intento dell’Autore è fare una lunga se pur sintetica catechesi sul diavolo, “l’avversario di Dio e il nemico dell’uomo”, sulla scorta della Bibbia, del Catechismo, della Tradizione spirituale della Chiesa ed anche della sua esperienza pastorale.
Proprio le sue preoccupazioni di padre hanno spinto questo sacerdote bergamasco a trattare un tema totalmente censurato dalla cultura dominante: la presenza del male e la possibilità della dannazione eterna.

Dio ha creato gli angeli e gli uomini come esseri liberi, cioè capaci di riconoscere ed amare il loro Creatore, ma anche di rifiutarLo e di odiarLo. E’ dunque il dramma della libertà che sta all’origine del male: il diavolo era all’inizio una creatura buona, che per sua libera scelta ha deciso di pervertire se stessa in modo definitivo ed irrevocabile. L’Inferno non è stato creato da Dio, ma dal rifiuto dell’Amore di Dio da parte della creatura ribelle.
L’Autore riprende gli epiteti con i quali la Sacra Scrittura descrive il diavolo (“principe delle tenebre, avversario di Dio, nemico dell’uomo, principe di questo mondo, serpente, drago, tentatore”) e li commenta per farci capire quanto queste definizioni corrispondano alla nostra esperienza quotidiana ed alla vita del mondo.
Strepitosi in particolare sono i commenti alla tentazione dell’Eden e alle tentazioni di Gesù nel deserto. Satana si presenta come benefattore, che maschera il peccato e la ribellione a Dio come “il massimo della vita”, mentre in realtà sono la causa della nostra morte. Per questo è il Falsario. Dio aveva creato l’uomo immortale, dunque la morte non è un fatto biologico naturale, ma è “il salario del peccato” commesso dai nostri progenitori, il famoso peccato originale.

Il diavolo ha così acquisito un certo potere sull’uomo, i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti: basta accendere la televisione o leggere certe leggi che negano il diritto alla vita per rendersene conto.
Ma non bisogna preoccuparsi, Satana ormai ha perso. Gesù “ha cacciato il potente dalla sua casa e si è ripreso ciò che è Suo”, prima trionfando sulle tentazioni del deserto (da meditare bene perché sono tentazioni specifiche della Chiesa) e poi sconfiggendo definitivamente il male mediante l’offerta totale di Sé al Padre sulla croce per la nostra conversione.

Satana è come un cane legato: se non ti avvicini a lui, non può farti niente. Come si fa ad avvicinarsi a lui? Cedendo, appunto, alle sue tentazioni.
Nella seconda parte del libro, l’Autore descrive dettagliatamente la dinamica della tentazione, la quale è, come dire, personalizzata, nel senso che Satana ci studia fin dall’età della ragione per capire a quale fra i sette vizi capitali noi siamo più inclini e ci prepara le occasioni nelle quali possiamo soddisfare la nostra inclinazione al male, con la collaborazione del mondo e della sua mentalità dominante. Per esempio, ad un uomo lussurioso il diavolo presenterà una donna sotto il suo influsso.
Il peccato è la catena con la quale ci lega a sé, con lo scopo di ottenere la nostra adorazione, che è dovuta solo a Dio, e di conquistare la nostra anima per l’eternità.

Qual è il rimedio? E’ semplice ma esigente: vivere la vita ad imitazione di Cristo, cioè vivere dentro l’esperienza della Chiesa, nella preghiera, nella mortificazione dei vizi, nella frequentazione dei sacramenti (a proposito, Satana fa di tutto per impedire la confessione), nell’obbedienza al magistero del Papa e dei Vescovi. Solo nella croce di Cristo possiamo trovare la pace e la felicità che cerchiamo senza posa.

Daniele Meneghin