Poesie: “Fiori di Loto”

Anche oggi

serri i battenti radiosi,

sole di vita.

 

Ti addormenti quieto

slittante all’orizzonte,

nella nebbia umida,

là dove le foglie

profumano

d’autunno e asfalto.

 

Ma questa notte veglierò.

 

Mi ritrarrò nel buio ovattato

a contare le ore.

 

E tu sarai tenera carezza

per l’uomo dimenticato:

essenza di loto

su rive tempestate

dal monsone.

Carlo Molinari

Poesie: “La matassa”

Come un giglio screziato

si staglia

quest’ansimar

d’arterie frenetico.

M’affascina

dei giorni

l’intricata matassa,

tra fetide brutture

e d’ascetismo

afflati vitali.

 

Un’oscillante smania

tra avemarie di Scirocco

e nordiche aurore.

 

E miliardi

di mani giunte.

D’amaro sale

intrise.

 

Carlo Molinari

Poesie: “Fine pena”

Nottesera tra fari

in coda allampionati.

 

Mi esilio

da ombrose pupille

apostate.

Impacciate smorfie

di chi ben sa

d’aver distrutto.
Nottesera ormai,

l’arcuate labbra

da dolore-disprezzo

son le mie.

 

A vomitarti addosso

le tue sconce

menzogne.

 

Ma stanotte ondeggerò

tra l’oscurità delle stanze,

liberamente

prosciolto.

 

Due ali

e un fine pena.

 

Carlo Molinari

Poesie: “Le stagioni dell’amore”

Perché non scrivere
di quei tuoi occhi da luna
che si cullano all’orizzonte marino
del mio pulsare,
tra lampare solitarie
e passeggiate sul lungomare
grigio-verde?

 

Perché non cantare
al vento spilloso delle baite
lo slancio che ci unisce
e ci innalza ad aquile reali
in planata sovrana e sicura,
nel nostro essere a labbra appaiate?

 

Perché non ricoprirci
del manto di foglie secche
e riposare, con lo sguardo
ai rami
addormentati,
pronti al nuovo salto
nel germoglio di un bacio assolato?

Perché non incoronarti regina

del mio circondio
tra gemme, gardenie e fresche dalie,
tra i voli delle piume migratrici,
tra il profumo del grano,
frumento e farina,
che si fan pane croccante
tra le mani sudate dalla fatica?

 

Perché questo ciclo di coloriture,
questo susseguirsi di stagioni,
questi maglioni a girocollo
sopra i sandali da mare
sono l’aria che respiriamo
ogni giorno.
Sono due esistenze tenere e violente,
che ormai non vogliono
più separarsi.

 

Perché mi sei nata dentro,
da sempre.
Ed io ti sboccerò,
ancora una volta,
tra le dita.

Carlo Molinari

Poesie: “Girando Mayerling”

Sopra il cadavere affranto
di Rudolph,
è fiorito un altare dorato,
sì che le dodici claustrali
della Kärmelkirke
vi pregano
in cerchio
nelle notti di luna piena.

E tu, vergine danubiana
dagli occhi madreperlacei,
che mi accompagni
in questa breve tratta boschiva,
fra i tigli di Schübert
e le acque termali dell’antica Baden…

Volgi il tuo sguardo
al battello carontiano
nella grotta di gesso,
immersa nel lago cristallino,
buio.

Il tuo corpo si cangia

in docile sirena smeralda,
ma non avermene,
il tuo invito è mia agonia:
mai potrò tuffarmi
e rincorrerti in giochi d’acqua
sensualmente erotici.

Il Mare del Nord finisce proprio
qui sotto,
nell’Hinterbrül.
Ed io morrei.
Troppo presto mi parrebbe per staccarmi
da te,
aria, mare e terra.
Nous sommes étoiles.

E se me ne dipartissi
a lampo
dall’arenaria terra,
dal mio corpo sorgerebbero
millenarie, dure e umide
stalagmiti: oppure
un’esplosione.
Che ci riporterebbe a cielo aperto.

Carlo Molinari

Poesie: “Palme”

Come il vento spettina vorticosamente le palme,

le piega senza pietà,

smuove le dune di sabbia così lei passa su di me,

senza lasciarmi il tempo di reagire.

Come il sole brucia la terra

la spezza lasciandola senz’acqua,

così lei mi ricopre di un calore invisibile

e mi accorgo di averne sete.

 

Ma non mi accorgo che il deserto è ancora lungo.

È strano, inquietante

non sapere se esiste un’oasi.

Almeno una.

Carlo Molinari

Poesie: “Bologna a Milano”

Ti vedo riflessa nella spuma

di quella birra bavarese

che sorseggeremo insieme,

tra banconi puliti

di legno levigato

come alabastro.

 

Tra anime che

non vociferano come noi.

Poi, in un letto unico,

la notte sarà lunga:

non servirà il vocabolario

per respirarci

l’uno nell’altro.

Carlo Molinari

Poesie: “Fluire”

E il tempo fluisce con grande calma istantanea.

I volti tirati, gli occhi ridenti,

i passi frettolosi, il fragore di un bacio,

l’ingordigia sciacalla,

la quiete di una testa chinata

e di un suo assenso.

Il tempo scorre,

ma l’esempio resta.

Carlo Molinari

Poesie: “Cercando di te”

Cercando di te
ho volto la prua
verso il mio mare,
la mia essenza
rivolta alla luce
di un sogno che fu,
ora disperso
dalla fatica d’esistere
là, dove ho perso
i tuoi occhi
e la tua anima.

Cercando di te
nell’immenso mistero
che m’invade,
profondo,
ti sento vibrare
come farfalla ferita.
Ti raggiungerò
quando il tuo cuore,
ora muto,
riprenderà il canto
in un oceano
di lontani silenzi.
Cercando di te
ti ritroverò adagiata
su cuscini di nuvole
che attendi il mio ritorno,
mentre sale inebriante
d’intorno,
un profumo di zagare.

Nello Farris

Racconti brevi: “H.I.V. – Ho imparato a vivere”

“Sono immobile davanti al portone d’ingresso dell’ospedale. Mi volto prima a sinistra e poi a destra ma non passa nessuno. È ancora presto e la città si sta ancora pian piano svegliando. Immagino la maggior parte delle persone ancora avvolta nel tepore delle coperte del loro letto. Vorrei essere anche io ancora lì, mentre invece sono qui fermo, di ghiaccio. Una fitta nebbia avvolge i palazzi circostanti e offusca la mia mente. Il freddo penetra nelle mie ossa senza permesso. Un signore anziano mi precede e mi invita con un gesto della mano ad entrare e decido di seguire il suo consiglio. Appena varcata la soglia un grande calore invade il mio corpo prendendomi alla sprovvista, facendomi pentire di aver esagerato con gli strati. Ed eccoli lì, come fulmini a ciel sereno, sopraggiungono impetuosi pensieri, ansie e preoccupazioni. Pensavo di averle relegate in un cassetto in tutti in questi giorni, mesi passati e invece no. Riaffiorano, nuotando controcorrente, come fanno i salmoni quando risalgono la corrente di un fiume. Faccio un respiro profondo e scuoto la testa nel vano tentativo di cacciarli via, in una zona remota della mia mente. So che sono ancora lì, nascosti ad approfittare di ogni mia minuscola indecisione. Ma a differenza delle altre volte, che mi sono solo immaginato questo percorso, sono qui, sono vivo. Alzo lo sguardo sul tabellone. Sinistra, 2° piano, laboratorio di analisi, ascensore. Mi ci dirigo a passo svelto premo il pulsante 2. Non accade nulla. Riprovo. Niente. Scorgo con uno sguardo le scale fiancheggianti e decido di salire a piedi. Incrocio un’infermiera e chiedo delucidazioni. Mi dice che ho sbagliato posto. Imbarazzato e sbuffante riscendo le scale e mi dirigo verso il posto indicatomi. Apro la porta e subito un enorme brusio invade la mia quiete apparente. Gente che entra, gente che esce, gente indispettita che alza la voce. Mi accorgo di aver sbagliato in precedenza; forse non erano tutti ancora sotto le coperte. Chiedo informazioni ad una segretaria che mi indica di premere il pulsante “urgenze” sul totem. Premo, sono il numero 118, sorrido tra me, che coincidenze. Aspetto pazientemente il mio turno, lasciandomi sprofondare su una poltrona. Il display si illumina e dopo un leggero bip compare il mio numero. Mi dirigo verso lo sportello relativo dove ad accogliermi c’è una donna di mezza età, capelli corti, occhiali sul naso dalle forme tondeggianti. Le pongo la mia richiesta. Mi guarda fugacemente ed inizia a digitare imperterrita lettere sulla tastiera del proprio computer. Forse pensa che sia un drogato. Guardo il mio riflesso sul vetro che mi separa da lei: non posso darle torto. Mi consegna un foglio senza far trasparire alcuna emozione e mi indica dove firmare. Sono il signor NXX ZXX. Un signor nessuno, non esisto. Mi tocco il polso, sento i battiti, sono ancora vivo. Mi dirigo verso la sala prelievi e subito una infermiera mi chiama verso di sé indicando una poltrona blu ormai sbiadita dal tempo. Mi domanda come mi chiamo, ma non so cosa rispondere; i secondi mi sembrano interminabili. Decide di fare un passo in avanti verso di me e afferra il foglio dalle mie mani. Con un secco “ok” di risposta, capisce la situazione e procede al prelievo. Avvolge un tubicino trasparente poco sotto il mio bicipite e inserisce con estrema delicatezza la farfallina; via si incomincia. Il sangue fuoriesce copioso dalla mia vena andando a riempire a poco a poco una provetta di un rosso scarlatto e in un istante è tutto finito. L’infermiera mi toglie il tutto e mi sorride. In quel precise instante so di aver fatto la scelta giusta, per me stesso, per il mio futuro…”

In queste situazioni il risultato non conta. Conta prendere per mano te stesso e affrontare le cose. Quante notti insonni avrai passato, quante volte ti sarai sentito a disagio con chi ti sta intorno. Si dice spesso di avere il beneficio del dubbio, però i dubbi non portano ad alcuno beneficio, ma soltanto a frustrazione e logoramento. Quindi vai, spogliati dalla vergogna e indossa il tuo miglior vestito.

Marco Aiolo