Recensione libro “Tre donne” di Dacia Maraini

“Tre generazioni di femmine che si sopportano per necessità. Eppure, se mancassero mia madre e mia figlia, mi sentirei disperatamente sola. Gli affetti famigliari sono complicati e covano delle implicazioni sconosciute. Ci si ama follemente ma anche ci si detesta. Si trovano insopportabili i gesti, le azioni, le scelte di chi ci vive accanto, ma nello stesso tempo si pensa con terrore a quando questa intimità terminerà.”

Una sintesi perfetta per descrivere l’ultimo libro di Dacia Maraini, che ancora una volta ci incanta con la sua semplicità. La prosa pulita, piena, ci introduce in un complicato universo tutto al femminile. Tre donne costrette a convivere nella stessa casa, dove l’assenza di un uomo si fa sentire ormai da troppo tempo. Sono alle prese con le difficoltà quotidiane della vita, materiali e spirituali, sempre alla ricerca ossessiva dell’amore, ognuna intenta a ritagliarsi la propria felicità a modo suo, rincorrendo la passione, la libertà, la tenerezza.

“questa non è una casa di musone, ma di litigiose sì, perché stiamo sempre a battibeccare, cosa forse inevitabile in una famiglia di persone così diverse.”

Nonna Gesuina cerca la sua felicità scambiando teneri baci con il fornaio Simone, un attimo di beatitudine per entrambi, perché i baci sono un antipasto a cibi più corposi e nutrienti, rubati e celati gelosamente nel retrobottega. Una donna che non ha mai smesso mai di lottare per difendere la forma più pura di amore, quello per la libertà, e i baci appassionati che dona sono dolci promesse di un amore platonico, carezzevole, nato solo per soddisfare un impellente bisogno d’amore: “Di baci ci si può saziare, di baci si può ingrassare l’immaginazione sensuale e di baci sfinirsi”.

Poi c’è Maria che vive il suo amore a distanza attraverso struggenti lettere d’amore, rigorosamente scritte a mano, per non perdere la magia della lentezza della scrittura e dell’attesa, la cosa più eccitante del mondo, e che a suo dire non fanno altro che arricchire il vero amore tra due anime gemelle.

Le parole si rincorrono, sono indispensabili in questa strana famiglia di donne, tutte hanno la necessità di riversare su carta i loro pensieri, perché le parole hanno il potere di fermare il tempo, di imprimere nella memoria gli attimi di felicità, rubati alla vita e custoditi nel cuore.

“Molto più soddisfacente sognare attraverso le parole scritte che attraverso una macchina diabolica che sembra avvicinare le persone nel momento stesso in cui le allontana.”

Maria utilizza il suo lavoro di traduttrice e le lettere che scrive al suo fidanzato francese, riuscendo a staccarsi dalla realtà, e per un attimo non deve pensare al suo rapporto complicato con una madre che non intende invecchiare e alle continue incomprensioni con la giovane figlia Lori. D’altra parte, nonna Gesuina sfrutta la tecnologia, e affida ad un piccolo registratore il racconto della sua vita, punti di vista, osservazioni che scavano nel profondo, da spettatrice narra le loro vite, degli errori che si possono commettere in un momento di follia e delle gravi conseguenze che ne possono derivare. Lori invece riversa tutti i suoi dubbi su un diario, chiuso con un lucchetto e ben nascosto, affida alle sue pagine tutto il dramma di un’esistenza che non condivide, il suo odio amore verso Maria, sua madre, che reputa debole e antiquata. Il loro è un rapporto conflittuale, tre generazioni a confronto che non si comprendono, ognuno chiuso nel proprio guscio e restìo a concedere sé stesso all’altro.

Lori è giovane e spavalda, commette uno sbaglio, mettendo a repentaglio l’esistenza stessa di questa famiglia, tutto viene messo nuovamente in discussione e vengono ristabilite le priorità, riscoprendo finalmente il vero valore degli affetti e dell’amore.

Un libro struggente nella sua semplicità, e Dacia Maraini risulta essere una vera maestra in quest’arte della comunicazione. Non mi stancherò mai di dire che l’impatto con i lettori deve essere immediato, utilizzando un linguaggio comprensibile, quasi familiare, il lettore deve sentirsi accolto amorevolmente tra le pagine che sta leggendo. In “Tre donne” mi sono sentita a casa, un po’ perché è facile ritrovare una piccola parte di sé in questa storia, tutte siamo state giovani, madre, nonne, e un po’ perché la storia va oltre il semplice racconto. Le protagoniste ne sono uscite vittoriose, l’autrice è riuscita a distinguerle con tatto, calandosi ora nell’una ora nell’altra, con facilità, facendo emergere le loro personalità con un uso sapiente del linguaggio, evidenziando il loro lato moderno e le sfumature di tutte le età della vita. Si legge che è un piacere, mai noioso, mai enfatico, equilibrato, emozionante fino alla fine.

SCHEDA DELL’EDITORE

UNA STORIA D’AMORE E DISAMORE

Ogni donna è una voce, uno sguardo, una sensibilità unica e irripetibile. Lo sono anche Gesuina, Maria e Lori, una nonna, una madre e una figlia forzate dalle circostanze a convivere in una casa stregata dall’assenza prolungata di un uomo. Tanto Gesuina, più di sessant’anni e un’instancabile curiosità per il gioco dell’amore, è aperta e in ascolto del mondo, quanto Maria, sua figlia, vorrebbe fuggire la realtà, gli occhi persi tra le carte di traduttrice e i sentimenti rarefatti rivolti a un altrove lontano. Il ponte tra questi due universi paralleli è Lori, sedici anni fatti di confusione e rivolta, che del cuore conosce solo il ritmo istintivo dell’adolescenza. Ma il fragile equilibrio che regola la quotidianità di queste tre generazioni è destinato a incrinarsi quando un uomo irrompe nelle loro vite, e ristabilirne uno nuovo significherà abbandonarsi alla forma più pura di passione, quella per la libertà. “Tre donne” illumina i percorsi nascosti e gli equilibri impossibili del desiderio, li fotografa con un taglio inedito che ne coglie le delicate sfumature in tutte le età della vita.

Come si può raccontare oggi l’amore? Quali sono i percorsi nascosti e gli equilibri impossibili che spingono due destini a incrociarsi?

«Dovrei difendere con più forza la libertà dell’amore che non conosce età, che si fa sudare, fiato, respiro, eccitazione, tutto per via del piacere del gioco amoroso.»

È la voce di Dacia Maraini a risponderci, attraverso queste storie che sono una fotografia delle più imprevedibili sfumature del desiderio, vissuto nelle diverse età della vita. Racconti che sono la testimonianza di una donna che non ha mai smesso di lottare per difendere la forma più pura di amore, quello per la libertà. Perché solo chi ha vissuto cento esistenze in una, attraversando il mare in tempesta del Novecento, può ricordarci che l’amore è la sola bellezza a cui non possiamo rinunciare.

Tre donne. Una storia d’amore e disamore.

Katja Macondo

Potete seguire Katja e le sue recensioni, sul sito: letturedikatja.com

Recensione libro “La danza del ciliegio” di Veronica Variati

Il mio primo impatto, con il nuovo romanzo di Veronica Variati, è stato esaltante. Mi sono subito messa a disposizione di questa giovane autrice che ha saputo, o meglio, voluto staccarsi dalle tendenze tanto in voga tra i nuovi autori emergenti. Non si è fatta imbrigliare dalle trame facili e piuttosto scontate, ha saputo, invece, guardare oltre e rivolgere il suo sguardo al passato per trovare l’ispirazione giusta, e in questo caso si è ispirata ad una storia vera, l’amore tra Yuki Kato e George Denison Morgan, lei geisha e lui americano.

Due mondi poco affini, anzi agli antipodi, eppure così vicini quando si tratta di abbattere le barriere culturali in nome dell’amore. Le due realtà, quella del Sol Levante e quella Occidentale in questa vicenda si scontrano, le antiche tradizioni e la sacralità dei riti da un lato e l’incomprensione per questi valori dall’altra, mettendo in evidenza il divario, a volte, incolmabile di due popoli lontani, non solo geograficamente.

L’autrice ha voluto immaginare così la loro storia, non avendo a disposizioni fonti certe, ed io mi sono fidata delle sue parole, ho dato credito alla sua storia, soprattutto per l’immenso rispetto che ha dimostrato nei confronti di una cultura, quella nipponica, e lo si evince, in particolar modo, dalla cura dei particolari e ad una approfondita ricerca storica inerente le tradizioni giapponesi, specie quelle riguardanti le geishe. Il lettore si ritrova così a compiere un viaggio a ritroso nel tempo, in una terra antica ed affascinante, dalle magiche atmosfere, alla scoperta dei suoi profumi inebrianti, catturato dalle luci soffuse delle lanterne rosse, incantato dai meravigliosi kimono, ospite delle antiche case da tè, spettatore delle danze di Primavera, e testimone di tutti quei riti che i giapponesi custodiscono gelosamente ancora oggi.

“Noi non diventiamo geisha per amare. Siamo destinate ad essere desiderate e venerate, ma non ricambiamo. Hai mai visto una statua o un dipinto voler bene al suo ammiratore? Ecco, in questo modo devi vedere gli uomini, come spettatori da ammaliare.”

Oyuki è una geisha tra le più quotate a Kyoto, una vera star, ammirata e desiderata, venerata ed idolatrata. Il suo incontro con il bel americano, dagli occhi color del cielo, sconvolgerà non solo la sua vita, ma metterà in discussione tutto. George si innamora di lei dal primo istante, ne resta ammaliato, affascinato oltre misura, un sentimento inspiegabile perfino per lui.

“Com’è diverso essere guardate da un uomo occidentale… Un maschio giapponese non mi fisserebbe mai così intensamente negli occhi, sarebbe un tabù, una mancanza di rispetto, e probabilmente se accadesse io abbasserei inconsciamente le palpebre nel fingere indispettito imbarazzo… È come se volesse tentare di scorgere la mia anima attraverso gli occhi.”

Cerca in tutti i modi di incontrarla e di abbattere i muri della lingua e dei costumi. Un viaggio lungo e spesso doloroso il loro amore, molte incomprensioni, inganni e ricatti, sono troppe le variabili in gioco. George è cosciente delle difficoltà, comprende le inquietudini di Oyuki, le perdona le sue debolezze, e nonostante tutto la implora di concedergli una possibilità. Lei, in bilico tra due uomini e due mondi, tentenna, la paura ed i timori si fanno sempre più pressanti, perché prendere una decisione non è semplice in un’epoca dove la reputazione è tutto e Oyuki possiede solo quella, non può disonorare quello che è e quello che rappresenta.

Non è mai stata facile la sua vita da geisha, tanto studio, molte restrizioni, infiniti obblighi e per un occidentale non c’è modo di comprendere le infinite sfumature della vita di una geisha, che non è libera di amare.

Il nodo centrale del romanzo non è tanto la storia d’amore, ma il divario che emerge tra i protagonisti, l’autrice si è incentrata sui costumi e sulle barriere esistenti tra i due, come se ci fosse “un muro a separarli tra ciò che è giapponese e ciò che è straniero, una barriera nella quale sembra pressoché impossibile aprire un varco”.

Eppure loro ci sono riusciti, hanno raggiunto il loro sogno non senza qualche caduta, e il loro amore ne è uscito rafforzato in vista di un altro capitolo della loro vita, il matrimonio e il trasferimento in America. Dobbiamo ricordare che siamo agli inizi del ‘900 e la loro unione suscitò molto clamore. Non erano ben accetti né dalla famiglia di lui né dall’alta società, la famiglia Morgan era una delle famiglie più in vista di New York.

Una situazione incresciosa, una ennesima prova del loro amore, ma dimostrarono, ancora una volta, di essere più uniti che mai di fronte a qualsiasi ostacolo. Oyuki e George ci hanno lasciato una grande eredità, un sogno, un mondo dove tutto è possibile. Hanno conquistato la loro parte di felicità e hanno saputo custodirla, “perché lei non si è mai pentita di nulla e tornando indietro rifarebbe tutto quanto, nel bene e nel male, a testa alta e ripartendo sempre da zero.

Veronica Variati è una scrittrice a trecentosessanta gradi, e con questo romanzo ha dato dimostrazione delle sue abilità. Un’autrice completa che conquista l’attenzione del lettore con la sua raffinatezza, il suo narrare è fluido, libero, e allo stesso tempo d’impatto. Mi ha lasciato molto questo libro, ha ampliato la mia visione su un mondo pressoché sconosciuto, almeno fino ad oggi, e per questo mi sento di ringraziare Veronica, mi ha reso un po’ più cittadina del mondo.

Consiglio!

SCHEDA DELL’EDITORE

Dopo l’ennesimo fidanzamento fallito George Denison Morgan decide di andare il più lontano possibile. Il suo amico Samuel è a Kyoto per lavoro. È una città magica e a modo suo accogliente: decide così di partire subito. Dal primo momento si sente ammaliato e accarezzato da quelle atmosfere così diverse da quelle a lui familiari. Arrivato a Kyoto il suo amico lo porta a teatro ed è qui che per la prima volta vede le geishe, sono creature meravigliose: è quello che pensa subito. Yuki Kato è la protagonista di questo spettacolo e George vuole solo sentire la sua voce, parlarle, afferrare quel fascino sovrannaturale. Ci riuscirà? Questo romanzo profuma di alberi di ciliegio e colpisce per la delicatezza, per la speranza che trasmette.

Katja Macondo

Potete seguire Katja e le sue recensioni, sul sito letturedikatja.com

Recensione libro “Vorrei incontrarti ancora una volta” di Kate Eberlen

Decisamente un’esperienza alternativa il libro “Vorrei incontrarti ancora una volta” di Kate Eberlen. La Garzanti è riuscita, anche stavolta, a sorprendere il lettore con una storia appassionante, unica nel suo genere che mi ha convinto da subito.

Il romanzo parte in sordina, in punta di piedi, i protagonisti Tess e Gus appaiono acerbi, impauriti, in balìa dei sensi di colpa, ingabbiati in una vita che non hanno scelto, né tantomeno voluto; entrambi annaspano e sognano un futuro diverso. Il destino sembra dar loro un’occasione, un’unica possibilità, “il tempo di un battito di ali, di un respiro e l’istante è perduto per sempre”.

Le loro vite sono state sconvolte da eventi che hanno condizionato, da quel momento in poi, tutte le loro scelte futureUn destino crudele che si oppone a queste due anime e al loro amore.

Tess e Gus si alternano, mettendosi a nudo, durante un lungo viaggio percorso inconsciamente in simbiosi, alla ricerca della felicità perduta. Due storie distinte e separate, che viaggiano parallele attraverso gli anni.

A questo punto è necessario sottolineare l’abilità dell’autrice Kate Eberlen per aver disseminato lungo tutto il percorso delle vite dei protagonisti, delle briciole di “Pollicino”, spiragli da cui sbirciare, sognare, un filo invisibile per il lettore che si ritrova ad assaporare il dolce amaro delle occasioni mancate.

Una lettura intensa che va in crescendo, come in crescendo è la vita, che obbliga entrambi a confrontarsi con scelte difficili, con delusioni e problemi di salute che li costringono a rinunciare, ancora una volta, ai loro progetti. I sogni di Tess sono stati accantonati dopo la morte della madre, costretta a prendersi cura della sorellina affetta da una forma di autismo. Mentre per Gus sono i sensi di colpa a reprimere i suoi sogni, dopo la morte del fratello, intraprende un percorso professionale, come medico, solo per non deludere le aspettative dei genitori. I

Intanto gli anni passano, e le loro vite viaggiano parallele su binari diversi, veloci, assorbiti ognuno dai propri doveri, ma sempre con una perenne sensazione di inadeguatezza, di insoddisfazione. L’amore nelle loro vite si affaccia sotto forma di compagno, moglie, una continua rincorsa per raggiungere il piacere, per colmare quel vuoto inspiegabile che pian piano mina le basi della loro vita.

Le atmosfere di questa storia mi ricordano moltissimo il film “Sliding doors”, del 1997, con Gwyneth Paltrow, un continuo sfiorarsi per non incontrarsi, passaggi ed occasioni perdute che lacerano i protagonisti e anche i lettori in questo caso. Come una porta chiusa può cambiare il corso degli eventi, e decidere per te, così è stato anche per Tess e Gus, la vita ha deciso per loro.

È innegabile, sono fatti l’uno per l’altra, si sente, si percepisce, si respira, una sensazione bellissima che accompagna il lettore durante la lettura. Hanno le stesse passioni, li guida lo stesso spirito, si amano senza conoscersi, perché sanno che lì fuori c’è qualcuno che li attende.

E quando finalmente si sfiorano, si riconoscono.

Le parole sono superflue, si completano e si amano, così semplicemente, perché questo è il loro destino.

Lettura piacevole, scorrevole nonostante alcuni argomenti trattati, quali la disabilità, la malattia e il lutto. Un romanzo d’amore, arricchito da passioni forti, da sconfitte e rinascite. Un tripudio di personaggi che hanno posto l’accento sulle tante scelte che ognuno di noi compie in nome di un dovere morale e sociale, scelte difficili in grado di condizionare un’intera vita. È facile immedesimarsi e ritrovare un pezzetto della propria vita tra queste bellissime pagine.

Il libro mi è piaciuto molto, unica nota dolente il finale, l’ho trovato un po’ scarno e frettoloso, scontato in alcuni punti, ma questo nel complesso non ha in alcun modo condizionato o deluso le mie aspettative.

Storia che colpisce dritto al cuore. Lo consiglio.

“Ci siamo conosciuti quando avevamo diciott’anni, ma poi c’è stato un cambio di rotta nel destino e abbiamo continuato a mancarci a vicenda… Io so solo che queste ultime ventiquattr’ore mi sono sembrate una vita intera, la vita che avrebbe dovuto essere”.

SCHEDA DELL’EDITORE

Mai vicini abbastanza per sfiorarsi davvero

Dicono che il destino, come un abile prestigiatore, decida chi entrerà nella nostra vita. E per Tess e Gus, due diciottenni desiderosi di cogliere tutto quello che il futuro ha da offrire, il destino si presenta sotto forma di un incontro tanto casuale da essere indimenticabile. In una calda mattina estiva, nella basilica di San Miniato al Monte a Firenze, i loro sguardi si incrociano per la prima volta. È questione di un attimo fugace. Qualche parola sussurrata nel silenzio. Un sorriso rubato, forse promessa di un domani insieme.

Ma le loro strade si dividono con la stessa fugacità con cui si erano sfiorate. Tess è costretta a crescere prima del previsto: abbandona il suo sogno di diventare una scrittrice per prendersi cura della sorellina. Gus finisce intrappolato in una vita che non gli appartiene rinunciando all’arte che ama tanto. Entrambi sono andati avanti e sembrano essersi lasciati alle spalle quell’estate toscana. Eppure, il destino, nel corso del tempo, li fa incontrare di nuovo. Sempre per brevi istanti di silenziosa perfezione dove tutto torna a essere possibile. Poi li allontana di nuovo.

Fino a quando, un giorno di molti anni dopo, sono di nuovo là dove tutto è cominciato. Oggi come allora, a separarli qualche metro di distanza. Una distanza che forse non è più incolmabile. Perché le loro sono due vite parallele con un unico destino: incontrarsi per sempre.

Un romanzo che segna l’esordio prorompente di Kate Eberlen sulla scena letteraria internazionale. A pochi giorni dalla pubblicazione, venduto in oltre 25 paesi, ha subito scalato le classifiche, affascinando migliaia di lettori e innescando un passaparola senza precedenti. Una storia dolce e delicata. Un monito a non lasciarci ingannare e a non pensare che nella vita tutto sia già scritto. Anche quando crediamo che nulla possa più cambiare, il destino è sempre dietro l’angolo, pronto a stupirci con effetti speciali.

KATE EBERLEN

Kate Eberlen è cresciuta in una piccola città vicino a Londra. Adora l’Italia e cerca di passarvi più tempo possibile. È sposata e ha un figlio.

Katja Macondo

Recensione libro “La bambina che ascoltava i fiori” di Stephanie Knipper

Io conosco l’anima di ogni fiore. Ma nessuno conosce il mio segreto.

“Seth era una costante della sua vita quanto sua madre. Come lei, capiva che parlare non era l’unico modo per comunicare.”

Libro intenso quello di Stephanie Knipper, con “La bambina che ascoltava i fiori”, la Nord ha fatto ancora una volta centro.

La dimensione surreale di queste pagine allargano il cuore e donano una speranza là dove tutto sembra perduto.

Una toccante vicenda impostata sul perdono, sulla volontà di vedere, ma soprattutto, di andare oltre le apparenze. La malattia, o le disabilità non sono considerate delle barriere, mai percepite come un impedimento alla vita e Antoinette con le sue melodie, e con la sola forza degli sguardi e delle mani comunica con il mondo che la circonda, una realtà che non sempre l’accetta in pieno, né la comprende fino in fondo.

Il suo stato le consente di ritagliarsi uno spazio tutto suo, dove le parole non sono necessarie, e parlare non è l’unico modo per comunicare. Antoinette ha un dono, riesce a creare una particolare connessione emotiva con la natura, attraverso le sue melodie richiama la vita nei posti più inattesi, il suo canto si lega alla madre terra, ne diventa parte, facendosi travolgere da una dimensione irreale, onirica, così forte da portare la guarigione là dove la malattia ha preso il sopravvento.

Molti pensano ad un prodigio, al miracolo, ma per la piccola ogni volta c’è sempre un prezzo da pagare, che di volta in volta, diventa sempre più alto; Rose, la madre gravemente ammalata, questo lo sa molto bene, ne è cosciente e non è disposta a far soffrire sua figlia, neanche per salvare sé stessa, cercherà in tutti i modi di proteggere la sua bambina da chi vorrebbe usufruire di uno dei suoi “miracoli”.

Per questo motivo Rose chiama al suo capezzale sua sorella Lily, incomprensioni del passato le hanno allontanate, ma ora è giunto il momento di perdonare, di dimenticare, perché non c’è più tempo, a Rose resta poco da vivere e qualcuno dovrà prendersi cura di Antoinette. Lily dopo un’iniziale rifiuto, e tentennamenti, impara a conoscere sua nipote che le è ostile fin dal primo momento. Così vicine e così lontane, le lega un solido e forte legame di sangue, ma c’è qualcosa di irrisolto tra loro, una incomprensione latente, un rancore profondo, eppure sono così simili; le molteplici differenze si assottigliano quando entrambe si rendono conto di percepire la realtà in modo differente, slegato da ogni ragione, entrambe vivono e hanno vissuto un profondo disagio, e questo le accomuna, le rende forti e consapevoli.

“Ma non capisci? Questo è esattamente il motivo per cui sei perfetta per lei. Tu sai com’è essere fuori, e guardare dentro. Tu sai che diverso non vuol dire difettoso.”

Quando Antoinette canticchia le sue melodie, tutti dimenticano il dolore e ora finalmente non si sente più sola, quella strana, ora c’è con lei sua zia Lily, anche lei vive in un mondo tutto suo, dove contare la rilassa e dona il giusto ordine alle cose, in fondo, in fondo non sono così diverse.

Anche l’amore sarà una componente forte in questo bellissimo libro della Knipper, un amore perduto, annegato in un mare di errori e rancori, Lily non ha la forza di riprendere in mano un rapporto che l’ha fatta soffrire molto, Seth è lì a due passi, sempre pronto ad accoglierla, ad aiutarla, è l’unico a comprendere il suo disagio, l’unico che l’ha sempre difesa e sa che non essere perfetti, non vuole dire essere difettosi. Nel passato li ha uniti l’amore, oggi li unisce l’affetto per Antoinette, Seth l’ha vista crescere, è stato per lei un amico, un padre, un confidente in un mondo senza parole, sempre in sintonia sulla musica, sull’arte e sulla natura.

Lily ritroverà l’amore per Seth? Antoinette riuscirà a guarire sua madre?

Le risposte a queste domande sono racchiuse in questo sorprendente libro, una porta spalancata sulle mille sfaccettature della vita che non sempre risulta facile, non sempre giusta, ma che vale sempre la pena di essere vissuta, anche se non si è perfetti, perché La vita non è una linea retta. È una grande ragnatela che si rigira e s’ingarbuglia. Ci arrampichiamo sui suoi fili finché non veniamo in contatto con le persone che sono destinate a entrare nella nostra vita. Magari i fili si annodano, ma non si spezzano, e i percorsi inattesi spesso sono i migliori.”

SCHEDA DELL’EDITORE

Un romanzo intenso come il profumo dei gigli, una protagonista innocente come una margherita e un legame delicato come una rosa bianca: ecco perché La bambina che ascoltava i fiori ha incantato sia la critica sia il pubblico.

«Un libro intenso e coinvolgente come la vita dei suoi protagonisti» – Book Reporter

Sono passati dieci anni da quando Lily se n’è andata di casa, dieci anni in cui ha cercato di fuggire dal passato e dalle responsabilità che non era pronta ad affrontare. Ma adesso è venuto il momento di tornare: Rose, sua sorella, è malata e ha bisogno che lei si prenda cura di Antoinette, la figlia di dieci anni. Non appena la incontra, Lily capisce che pure Antoinette fugge. Fugge dalle carezze di sua madre, dalle parole che non riesce a dire, dal mondo che la spaventa e la confonde. E si nasconde tra i fiori. Il vivaio di famiglia è per Antoinette l’unico luogo in cui sentirsi protetta e in pace. Perché i fiori non abbracciano e non chiedono. I fiori non hanno voce, proprio come lei. Eppure a poco a poco Lily si rende conto che, dietro il suo silenzio, Antoinette custodisce un dono straordinario: le basta un tocco per ridare vita a un fiore appassito, e per curare una persona. Solo che quel dono ha un prezzo: tutta la sofferenza che toglie agli altri, Antoinette la prende su di sé. Per questo Rose non vuole essere guarita, e per questo chiede a Lily di aiutarla a mantenere il segreto. E, di fronte a quella bambina così speciale, per la prima volta nella vita Lily sente di non poter più fuggire. Perché il suo posto è con Antoinette. Qualunque siano le conseguenze…

Katja Macondo

Recensione libro “Eppure cadiamo felici” di Enrico Galiano

Ringrazio la Garzanti per “Eppure cadiamo felici” di Enrico Galiano.

Wenn ein Glückliches fällt. “Quando la felicità è qualcosa che cade”.

La felicità, dov’è la felicità?

 “Quel verso parla della bellezza delle cose che cadono, della bellezza delle cose che nessuno vuole, raccontano il calore che sprigiona da ciò che non vediamo, da ciò che non consideriamo, da ciò che ci sembra inutile, mentre per Gioia la maggior parte della bellezza del mondo se ne sta lì, nelle cose inutili: nelle cose che cadono, nelle cose che tutti buttano via.”

Gioia, ogni giorno, scrive con la biro questi versi sul suo braccio, “perché le cose importanti bisogna prenderle, e fare la fatica di ricordarselo”.

La bellezza dei versi, il suono stesso delle parole in diverse lingue, sillabe intraducibili che racchiudono un mondo di significati, canzoni e testi indimenticabili, un amore breve e tormentato, lezioni di scuola e di vita, sono gli ingredienti che hanno reso questo romanzo di Enrico Galiano un esempio da seguire per diventare un “bravo” scrittore, in grado di scrivere, in modo semplice ed incisivo, e arrivare all’anima del lettore con cautela, con tatto, lasciando dietro di sé una magia, un buon sapore.

Ho sottovalutato questa lettura, pensavo di leggere una storia leggera, pigra, invece mi sono ritrovata tra le mani un libro che annovero tra quelli indimenticabili.

Mi ha, pagina dopo pagina, sorpresa, catturata. La sua protagonista Gioia è ben definita, limpida, tutto ruota intorno alle sue emozioni, alla sua personale visione della realtà che la circonda. Una realtà non delle più felici, per difendersi costruisce un muro intorno a sé, i mattoni sono le parole, semplici sillabe che descrivono i suoi stati d’animo, il suo modo di proteggersi da un mondo che la rifiuta, che non si prende il disturbo di capirla.

Le sue più grandi passioni sono:

La musica dei Pink Floyd: “perché le canzoni hanno il potere di dire chi sei, cosa fai, e di dirlo con quelle esatte parole lì, quelle che avresti sempre voluto usare tu, e lo fanno così bene che ti danno la sensazione che non le abbia scritte un cantante, ma tu, che siano proprie tue”.

La fotografia. Ama immortalare le persone di spalle: “Capisci? Le facce delle persone mentono, mentono sempre. Anche quando sono lì, ‘naturali’, non sono mai naturali per davvero… E invece di spalle, di spalle… di spalle dicono sempre la verità”.

e in ultimo, la più importante, è la sua ricerca ossessiva delle parole intraducibili, in tutte le lingue del mondo. Queste parole sono nate dall’esigenza di descrivere quell’attimo, quell’istante della vita così particolare, per cui non sono abbastanza le parole di uso comune, bisogna coniarne di nuove, per meglio identificare una sensazione o uno stato d’animo.

La sua situazione familiare non è delle più rosee, a scuola non va meglio, i compagni la deridono per le sue stravaganze, che per lei sono vitali, l’aiutano ad esorcizzare tutto il marcio che sente dentro e fuori di sé. Arriva al punto di crearsi un’amica immaginaria, un alter ego che condivide con lei i percorsi tortuosi della quotidianità. Solo il suo professore di filosofia si è accorto di lei, lei come persona, intavolano spesso discussioni sulle mille domande che l’assillano. Tanti quesiti che necessitano di risposte e solo il suo insegnante riesce a colmare le sue lacune, spunti su cui Gioia riflette e agisce.

Quando incontra Lo la sua vita cambia, non sarà mai più la stessa.

“C’è stato un momento in cui mi sono sentita persa, sai? Tutti hanno iniziato a dirmelo, che mi stavo perdendo, ed è strano perché è vero, in quel punto lì mi sono persa ma quel momento è stato proprio la notte che ho incontrato te, e a me lì è sembrato di aver trovato qualcosa… mi sembrava di parlare con la parte nascosta di me… la parte bella che nessuno, nemmeno io, aveva ancora visto”.

Ci sarà da quel momento in poi “un prima e un dopo Lo”.

Le loro vite si scontrano durante una delle serate più tristi della vita di Gioia, il freddo della notte, la rabbia di non poter cambiare le cose, e il solo desiderio di scappare via, lontano da tutti, la portano a conoscere l’amore della sua vita. Due anime perse, che finalmente si ritrovano. Scatta subito una sintonia speciale tra loro, una relazione breve, oscura, tormentata, qualcosa angoscia Lo, Gioia lo intuisce, vorrebbe aiutarlo, ma anche lui come lei ha eretto delle barriere, e quello che lei riesce a vedere sono solo flebili bagliori tra gli spiragli della sua anima.

Come fare, come aiutare un cuore in frantumi? Gioia continua a chiederselo, Lo è sfuggente, tanto da scomparire improvvisamente dalla sua vita. Non c’è una ragione, nessuno sembra conoscere la sua vera identità, troppi misteri, troppe domande assillano Gioia, e solo grazie alla sua perseveranza e alla sua amica immaginaria, riuscirà a districarsi tra mille ostacoli, e combattere un dolore sordo, solitario, per la perdita del suo amore.

Verranno alla luce verità sconcertanti, dolori mai sopiti e questioni mai risolte, e lei sarà l’unica a dimostrare che amare significa sacrificarsi, perdere, perfino l’amore stesso. Le sue indagini porteranno alla luce anche una nuova Gioia, più consapevole, più forte, non più succube di una società ostile. Riesce finalmente a entrare in contatto con gli altri, non ha più paura di restare ferita. Il suo sguardo è cambiato, e Lo ne è l’artefice, forse inconsapevole, perché ora è tempo che anche lui affronti i suoi demoni e ritrovi la sua pace.

Questa è la verità più difficile da mandar giù. “E quale sarebbe?” “Che ogni luce ha un cuore di buio.”

Romanzo insieme delicato e graffiante, sublime nella sua semplicità. Innovativo, e unico nel suo genere. Pagine amare sulla nostra società, così mutevole, così distratta, su cui spicca una protagonista vera, capace di rialzarsi e lottare per un sogno.

Lo consiglio a tutti i lettori, di tutte le età, perché non si finisce mai di imparare e la storia di Gioia e Lo mi ha insegnato l’amore, ma soprattutto l’amore per le parole.

E a questo proposito voglio segnalare, che al termine del romanzo, c’è la possibilità di sfogliare una interessante raccolta di parole intraducibili, leggendole è facile imbattersi in una parola a noi cara, capace di descrivere un momento della nostra vita. Provateci!

SCHEDA DELL’EDITORE

Non aver paura di ascoltare il rumore della felicità

«Sai perché mi scrivo sul braccio tutti i giorni quelle parole, “la felicità è una cosa che cade”? Per ricordarmi sempre che la maggior parte della bellezza del mondo se ne sta lì, nascosta lì: nelle cose che cadono, nelle cose che nessuno nota, nelle cose che tutti buttano via.»

Il suo nome esprime allegria, invece agli occhi degli altri Gioia non potrebbe essere più diversa. A diciassette anni, a scuola si sente come un’estranea per i suoi compagni. Perché lei non è come loro. Non le interessano le mode, l’appartenere a un gruppo, le feste. Ma ha una passione speciale che la rende felice: collezionare parole intraducibili di tutte le lingue del mondo, come “cwtch”, che in gallese indica non un semplice abbraccio, ma un abbraccio affettuoso che diventa un luogo sicuro. Gioia non ne hai mai parlato con nessuno. Nessuno potrebbe capire.
Fino a quando una notte, in fuga dall’ennesima lite dei genitori, incontra un ragazzo che dice di chiamarsi Lo. Nascosto dal cappuccio della felpa, gioca da solo a freccette in un bar chiuso. A mano a mano che i due chiacchierano, Gioia, per la prima volta, sente che qualcuno è in grado di comprendere il suo mondo. Per la prima volta non è sola. E quando i loro incontri diventano più attesi e intensi, l’amore scoppia senza preavviso. Senza che Gioia abbia il tempo di dare un nome a quella strana sensazione che prova.
Ma la felicità a volte può durare un solo attimo. Lo scompare, e Gioia non sa dove cercarlo. Perché Lo nasconde un segreto. Un segreto che solamente lei può scoprire. Solamente Gioia può capire gli indizi che lui ha lasciato. E per seguirli deve imparare che il verbo amare è una parola che racchiude mille e mille significati diversi.

Ci sono storie capaci di toccare le emozioni più profonde: “Eppure cadiamo” felici è una di quelle. Enrico Galiano insegna lettere ed è stato nominato nella lista dei migliori cento professori d’Italia. I giovani lo adorano perché è in grado di dare loro una voce. Grazie al suo modo non convenzionale di insegnare, in breve tempo è diventato anche un vero fenomeno della rete: ogni giorno i suoi post su Facebook e i suoi video raggiungono milioni di visualizzazioni. Un romanzo su quel momento in cui il mondo ti sembra un nemico, ma basta appoggiare la testa su una spalla pronta a sorreggere, perché le emozioni non facciano più paura.

Katja Macondo

Recensione libro “Capodanno da mia madre” di Alejandro Palomas

Calde lacrime hanno solcato il mio viso.

La commozione ha avuto la meglio, è stata liberatoria, mi ha donato pace, e una nuova consapevolezza. Le ultime righe mi hanno letteralmente travolto, mi hanno concesso il privilegio di abbandonarmi e di assaporare tutte le emozioni in gioco, nella loro forma più pura, essenziale. Perché l’amore, quello vero, ci rende più forti, ci insegna a rialzarci, ci regala un nuovo giorno, ci dona la certezza che non si è soli a questo mondo. Ci sarà sempre qualcuno che ci aspetta, là dove la vita è cominciata.

Il romanzo di Palomas “Capodanno da mia madre” mi ha riportato alle atmosfere dei film anni ’50 e ’60, dove l’intera storia si svolge nell’arco di poche ore, in uno spazio ben delimitato e i protagonisti appaiono intrappolati, incapaci di sfuggire ai propri desideri e ai propri rancori.

Potrebbe essere una storia come tante, in fondo tutte le famiglie si assomigliano un po’, e Alejandro Palomas ci narra le vicende di questa famiglia, con cura, con calma, addentrandosi in ogni singola esperienza con tatto, concedendo al lettore tutto il tempo necessario per ascoltare il loro racconto.

Amalia è l’anima più pura, forse quella che ha sofferto di più, che ha trovato la forza per rialzarsi, per vivere questa sua nuova vita a modo suo. La sua visione della realtà è del tutto soggettiva, è sempre causa di discussioni e motivo di preoccupazione per i suoi figli. Ma Amalia riesce a vivere il suo quotidiano in assoluta armonia con il suo pensiero, circondandosi, a volte, da personaggi poco raccomandabili, che lei prende amorevolmente sotto la sua ala, come donna, come amica, come madreNon è ingenuità, è solo fiducia nel prossimo. Una fiducia che lei ripone negli altri con naturalezza, istintivamente.

La cena di capodanno organizzata e tanto attesa da Amalia, diventa il palcoscenico delle loro vite. Il passato sarà l’ospite d’onore, la malinconia travolgerà ogni commensale, e la verità sarà la “portata principale”. Il racconto si snoda tra alti e bassi, tra liti e recriminazioni, tra ricordi tristi e divertenti, inframezzato da momenti di pura ilarità che calmeranno gli animi e alleggeriranno le tensioni nell’aria.

“… siamo ancora cinque Due generazioni di fratelli: quella di mamma. – lei e zio Eduardo – la. – io, Silvia ed Emma -, come due rotaie parallele che attraversano il tempo, separate questa sera da tavolo, piatti, bicchieri e dalle molteplici interpretazioni della nostra storia “.

Una frase che mi ha colpito è stata…

” Qualche luce e molte ombre. Questo è un modo di dire che ci appartiene, tipico di chi è sangue del nostro sangue”.

Molte ombre, molti “assenti” a quella tavola.

La prosa evidenzia la vena ironica di alcuni protagonisti, una ironia tagliente, sincera irreverente, ma anche tanto divertente, perché quando la realtà è dura, solo una sana e genuina sincerità, rende tutto, la vita compresa, più accettabile.

Amalia è sicuramente il personaggio che ho amato fin da subito, la sua vita è un esempio di rinascita, dopo anni di soprusi è riuscita a riprendersi la sua vita, finalmente protagonista.

“La libertà quando arriva all’improvviso non sempre viene assimilata nel modo giusto”.

Ci sono stati degli sbandamenti, degli errori, ma sempre a fin di bene. “.. era diventata adulta… ci fece diventare minuscoli, mettendo ordine in un paesaggio che credevamo immutabile”. Un vero esempio di donna e madre, che sa, che comprende, che sostiene, che dona la forza per guardare al domani con coraggio.

“Ogni cosa nella nostra vita ha un senso; ogni fine è anche un inizio. Succede però che, quando la stiamo vivendo, non ci è dato saperlo”.

Ho sentito una bella affinità con lei, personaggio molto credibile, ha reso questo romanzo speciale. Vedere quello che agli altri sfugge o non vogliono vedere, è il suo modo di dire “ti voglio bene così come sei”. Accettare le difficoltà o dire addio a qualcuno è difficile, doloroso, ma inevitabile. Il suo amore li ha resi tutti più forti, aiutandoli ad accettare la perdita con la consapevolezza di non essere soli.

“Le cose possono cambiare, sì, ma se tu non le vedi se non allunghi la mano per toccarle non ti renderai mai conto che non sono più come erano una volta. Non succederà mai niente così. Mai niente “.

Romanzo che annovero tra i più belli mai letti, da leggere e rileggere. La lettura risulta scorrevole, la prosa semplice, essenziale. La trama convincente, ricca di contenuti. Nel complesso molto coinvolgente ed emozionante.

Ringrazio Alejandro Palomas per aver pensato e scritto questo libro.

SCHEDA DELL’EDITORE

È il 31 dicembre a Barcellona e Fernando, detto Fer, è seduto al tavolo della sala da pranzo di sua madre a piegare con cura i tovaglioli rossi. Amalia, la mamma, è nervosa e piena di gioia. Dopo tanti tentativi frustrati, tutti i suoi figli e parenti – il sangue del suo sangue – si siederanno a tavola per festeggiare l’ultimo dell’anno e brindare finalmente insieme.
Ci sarà lui, Fer, con Max, l’alano che dorme con la testa in una perenne pozza di bava, regalo d’addio che il suo ex compagno Andrés gli ha lasciato, giusto per non sentirsi in colpa per essersi innamorato di un altro.
Ci sarà Silvia, la figlia maggiore, che, dopo aver perduto la bambina che portava in grembo, mastica rabbia e nicotina, ed è come una pentola a pressione sempre sul punto di scoppiare. Ci sarà Emma, la figlia più piccola, il disordine in persona, colei che ha sempre qualcosa che non va. E Olga, la sua compagna – l’aggiunta, come la chiama Silvia–: naso all’insù, perle, tacchi, borsa di Louis Vuitton, e l’aria supponente di chi ripete come un mantra “lascia che ti dica”.
Ci sarà, infine, l’eccentrico zio Eduardo, che l’anno prima si è presentato vestito da babbo natale e completamente ubriaco.
È un giorno importante, e Amalia non nasconde la sua gioia e le sue paure.
Silvia saprà stare al suo posto e non litigherà con Olga? E lo zio Eduardo non racconterà nessuna delle storie schifose dei suoi viaggi? E non busserà alla porta nessun vicino del palazzo, com’è accaduto anni prima, quando è comparso sulla soglia il signor Samuel in compagnia di una povera mulatta cubana mezza svestita?
Con un ritmo serrato e un impianto “teatrale”, Alejandro Palomas mette in scena una memorabile cena di Capodanno in cui ciascuno vuole, dal suo angolo di vita, scacciare ogni pesantezza e trascorrere una serata leggera. Ma, si sa, le feste in famiglia svelano puntualmente cose ignote, verità non ancora rifinite che affiorano improvvise, come la luce che sale dal mare all’alba del nuovo anno.

Katja Macondo

Recensione libro “Finchè notte non sia più” di Novita Amadei

“Cercò di ricordare come fosse arrivata in quella campagna sperduta, attraversata solo da uccelli migratori e dagli ultimi angeli, dove pioveva e spioveva e il silenzio vegliava su una lunga storia di venti, di versi di animali, sul respiro del bosco e il lamento delle campane al vespro, dove lei non si sentiva diversa da una ghianda o una foglia“.

La delicatezza della prosa, quasi un sussurro, mi ha incantato.

La trama si dipana lentamente, portando alla luce con circospezione i protagonisti di questo racconto molto emozionante. L’autrice, Novita Amadei, ci accompagna lungo questo viaggio, portandoci per mano nel cuore e nell’anima di ognuno di loro, lì dove albergano gli amori, gli affetti, i rancori.

Caterina, giovane ragazza italiana, sceglie di trascorrere un anno presso gli zii in Francia. Decide, quindi, di approfondire la sua conoscenza della lingua francese, e più esattamente della letteratura francese, sua passione da sempre. Il professore a cui si rivolge, uomo distinto e ottimo insegnante, la introduce con profonde e accurate argomentazioni alla scoperta di grandi autori, trasportandola lontana, rapita dalla sua voce e dalle sue parole.

La vita scorre placida, in quel piccolo borgo della campagna francese, ”dove il rollio del tempo non calcava mai la mano”, così diversa da Roma, così chiassosa, caotica, civettuola e soffocante.

Trascorre le sue giornate tra il salone della zia, dove dà una mano, e le lezioni del professore, ma un giorno compare nel salone Delio. Anche lui italiano, residente da anni in quel piccolo borgo assieme alla moglie Teresa, morta da tempo. Conduce un’esistenza solitaria nella sua grande casa, scandita dai ritmi lenti delle stagioni, e come unico compagno un vecchio cane che rispecchia in pieno il suo decadimento e la sua vecchiaia; una vita ai margini del borgo e della vita stessa.

L’incontro tra Delio e Caterina li cambierà entrambi per sempre, scatta immediatamente tra loro un affetto silenzioso fatto più di gesti che di parole. La ragazza comprende che il vecchio Delio è un uomo bisognoso di aiuto, il suo disagio rispecchia un malessere che va ben oltre quello fisico. I ricordi sono la sua unica compagnia, sente di aver fallito, scelte dettate solo dall’amore hanno finito per rovinare irrimediabilmente il rapporto con suo figlio.

L’angoscia lo attanaglia, consumandolo, e quando Caterina decide di trasferirsi a casa sua, sente finalmente rinascere in lui la speranza. Hanno bisogno l’uno dell’altro, come due anime che finalmente si sono ritrovate, la convivenza li libera dalla solitudine, rifiorisce in Delio la voglia di vivere, riaffiorano i ricordi, quasi tutti legati all’amatissima moglie.

Teresa è stata sua compagna per tanto tempo, hanno amato quel borgo, costruito la loro casa e curato con amore il loro orto. Lì è anche cresciuto Daniele, il loro unico figlio. Emergono tratti di una vita semplice, interrotta solo dalla morte prematura della moglie. La nostalgia della sua compagna è così forte per Delio, da essersi radicato in ogni anfratto di quella casa.

Caterina intuisce però che c’è dell’altro. Come mai il figlio manca da casa da quattro anni? Cosa è successo tra loro?

Le sue foto sono ovunque e quelle immagini la attraggono e la ossessionano nello stesso tempo. Nel suo cuore fa breccia un sentimento nuovo, sconosciuto, inspiegabile.

Daniele non ha contatti con il padre ormai da molto, non sente la necessità di recuperare un rapporto incrinato da tempo. Il lavoro, la musica e il suo amico Amir occupano le sue lunghe giornate. Li lega un’amicizia profonda, che va oltre le differenze religiose e di pensiero, nulla sembra scalfire la loro convivenza, si sostengono a vicenda confrontandosi sempre apertamente.

Sinceramente ho molto apprezzato l’accento che l’autrice ha posto in questo libro sull’integrazione e sul confronto tra culture diverse. È molto difficile conciliare il proprio credo e la propria mentalità in terra straniera. Il confronto tra i due è sempre aperto, Daniele rispetta Amir, ha sempre cercato di aiutarlo, ma qualcosa ad un certo punto si incrina, Amir è costretto a fare una scelta di vita, forse non quella che aveva sognato, ma in linea con i desideri della sua famiglia e delle tradizioni.

Una visione intima, profonda, di una integrazione difficile, che ha lasciato il segno tra le pagine di questo romanzo.

Daniele viene richiamato a casa, le condizioni di salute del padre sono molto peggiorate. La presenza di Caterina assottiglia il divario esistente tra padre e figlio. I loro rapporti sono ridotti all’osso, nulla li accomuna, neanche l’affetto per Teresa, la madre.

Il rancore ha la meglio su Daniele, non riesce a placare il disagio di trovarsi in quella casa. Delio dal canto suo non sembra accorgersi di questa situazione e alimenta un rapporto inesistente, troppo felice per il ritorno del figlio, ma molte sono le vicende familiari inconfessate, che abitano ancora tra quelle mura.

Ma con il passare del tempo Delio sente per la prima volta che qualcosa sta cambiando, grazie a Caterina che con la sua dolcezza ha fatto breccia nei loro cuori, soprattutto in quello di Daniele, che ritrova, dopo un lungo percorso, un padre e una donna da amare. Il loro è un amore che cresce silenziosamente, profondamente. Le loro anime sono affini, si cercano, si sfiorano, si completano. 

Commovente, toccante, romanzo che segna.

Ottimo ritmo narrativo, prosa scorrevole, che facilita la lettura di un romanzo ricco e corposo. Si denota un profondo rispetto per ogni singolo personaggio, sempre coerente con il ruolo assegnato.

Un affresco sincero, delicato, dei moti dell’animo che albergano in tutti noi. È facile ritrovare e ritrovarsi in questa bellissima storia.

SCHEDA DELL’EDITORE

All’alba di un nuovo anno, Caterina giunge in Francia dove sua zia Liliana si è stabilita dopo il fatale incontro con un turista francese. Nel borgo, antico come un aratro, sembra che il tempo non calchi mai la mano: campi coltivati a orzo, frutteti per trarvi conserve e marmellate, forni a legna dove cuocere il pane dal sapore acidulo del lievito madre, tutto sembra ubbidire a un placido scorrere degli anni e delle ore.
Capelli biondo ruggine e, dipinta sul volto, la bellezza senza compromessi della gioventù, Caterina ha lasciato Roma, con i suoi androni scrostati e le strade chiassose, per sfuggire all’abbraccio soffocante di sua madre e trovare la propria via nel mondo. Conclusi gli studi, ha raggiunto zia Liliana con la prospettiva di un lavoro in un poliambulatorio e l’idea di dare una mano nella conduzione del Liliane Coiffure, un lindo salone di parrucchiera dalle poltroncine viola che la zia ha aperto in quel borgo nel sud della Francia.
Un giorno capita nel salone un vecchio signore con una massa scompigliata di capelli e una mano tremante abbandonata lungo la gamba. Si è ferito alla fronte nel tentativo di accorciarsi da solo i capelli, ed è in imbarazzo tra quelle poltroncine viola, i vasi di ranuncoli e le riviste di moda impilate negli angoli. Fuggirebbe, se non fosse per l’accoglienza che gli riserva Caterina, che si prende subito cura di lui.
Come due anime che si sfiorano e si riconoscono, Caterina e Delio, il vecchio signore, comprendono all’istante che il filo del destino li unisce. La sera stessa la ragazza riempie una valigia e si stabilisce nel casolare accanto alla casa di Delio. Il vecchio vive solo, circondato da una terra dura, con malerbe che crescono ovunque e cumuli di sterpaglie affastellati lungo i camminamenti dell’orto, quell’orto che sua moglie Teresa coltivava con cura prima che la malattia se la portasse via. Caterina non tarda a capire che un’altra mancanza grava sul cuore malandato del vecchio: Daniele, il figlio che la foto sulla credenza raffigura come un giovane uomo prestante, coi capelli un po’ lunghi e un’aria sfrontata, è assente da casa da più di quattro anni. In paese, dove tutti parlano di lui e qualche ragazza lo nomina con il rimpianto di una ex innamorata, si sussurra che una grave offesa l’abbia spinto a rifiutare ogni contatto col padre.
Quando, però, dopo una caduta, Delio cede alla vecchiaia e si mette a letto col volto scavato dalla stanchezza della vita, Daniele compare sull’uscio di casa. E Caterina, tormentandosi una ciocca di capelli, lo accoglie con un sorriso di disagio, il cuore impazzito.
Appassionante romanzo sull’educazione sentimentale di una giovane donna, scritto con una prosa delicata capace di ritrarre magistralmente i moti più profondi dell’animo, Finché notte non sia più costituisce una splendida conferma del talento dell’autrice di “Dentro c’è una strada per Parigi”.

Katja Macondo

Recensione libro “La casa sull’isola” di Catherine banner

Una saga familiare che ha assorbito tutta la mia attenzione fin dalle prime pagine, la fluidità della prosa mi ha completamente catturato, trascinandomi lì, su quell’isola sperduta al largo della Sicilia.

Il racconto si presenta subito ricco e corposo, le vicende si snodano tra un personaggio ed un altro, narrato con maestria, svelandone man mano le storie e i retroscena. Vite vissute all’ombra di paure ancestrali, legate a leggende e racconti tramandati nel tempo e che sono riusciti a penetrare le anime di ogni abitante dell’isola.

L’isolamento forzato ha trasformato Castellamare in un luogo chiuso, gretto, restio ai cambiamenti. Il giovane Amedeo, medico fiorentino dalle idee moderne, si ritrova ben presto alle prese con i poteri forti dell’isola che si oppongono al suo ruolo di medico condotto. Eppure Amedeo nonostante tutto sente un’affinità speciale, unica, con l’isola, la considera da subito casa sua. La gente diventa la sua gente, e prendersi cura di loro non è solo un dovere ma un piacere, anche se la paga è magra e le condizioni ambientali non delle migliori.

Le credenze popolari, le tradizioni che animano la quotidianità di Castellamare conquistano immediatamente Amedeo, e le trascrive con una cura maniacale su un libretto che porterà sempre con sè. Le storie del passato, i racconti dei vecchi cantastorie lo hanno da sempre affascinato, e l’isola è così intrisa di antiche leggende di cui ormai si sono perse le origini, ma così vive nell’immaginario degli abitanti di Castellamare.

In questo luogo dimenticato da Dio la vita scorre tra alti e bassi, lontano dalla terraferma si ha la sensazione di vivere in un’altra dimensione. Ma il mondo al di là dell’isola sta cambiando, una grande guerra è alle porte e molti uomini sono chiamati al fronte. Anche Amedeo fa la sua parte, patirà e combatterà una guerra che non ha voluto. Molti non faranno ritorno a casa, altri torneranno mutilati nel fisico e nell’anima.

Ricominciare è dura, tra lutti e miseria, la vita pian piano ricomincia, e anche Amedeo decide di sposarsi con Pinavedova di guerra. Una donna energica, colta, capace di guidare la sua famiglia con dolcezza e fermezza allo stesso tempo.

L’amore che li lega è un amore profondo, tenero; una sintonia perfetta, come può esserlo solo quello tra un uomo e una donna che si rispettano e si stimano.

Tutto sembra andare per il meglio fino a quando il medico condotto non viene coinvolto in uno scandalo, un presunto figlio concepito la notte prima delle sue nozze con Pina. La verità celata per tanto tempo è ora sulla bocca di tutti, Amedeo non sa come rimediare ad un errore commesso in un momento di debolezza, una storia che per lui non ha significato nulla comprometterà la sua vita e quella dei suoi figli.

Un errore che nel tempo ha alimentato odi e rancori, e a pagarne il prezzo più caro saranno proprio i suoi figli, costretti a subire le maldicenze di un intero paese.

Il perdono della moglie sarà solo l’inizio di una nuova vita per Amedeo che da quel momento in poi si ritrova a doversi reinventare, deve rinunciare per sempre alla sua professione di medico. Riapre un bar ormai chiuso da tempo e incomincia una nuova vita dietro un bancone servendo caffè, limoncello e arancini.

Tutto sommato la sua vita lo soddisfa, arrivano i figli e il benessere, la vita scorre placida, e il bar diventa il centro nevralgico di Castellamare, dove incontrarsi e condividere pensieri, e sovente spettegolare. Infatti i pettegolezzi sono e saranno lo spettro che li assillerà, impareranno con il tempo a conviverci, la famiglia di Amedeo è costantemente sotto l’occhio vigile dell’intera comunità.

Intanto un’altra guerra è di nuovo alle porte e questa volta sono i suoi figli a partire. Resteranno solo in compagnia dell’unica figlia rimasta, Maria Grazia.

Figura predominante, che fin da piccola, affetta da un handicap, ha saputo imporsi a modo suo in una società arcaica e gretta, che non ha fatto altro che compatirla.

Ho amato molto questo personaggio, una bambina vivace, intelligente, che ha saputo guardare oltre, che ha saputo prendersi cura della propria famiglia quando tutto sembrava perduto. Un animo nobile, gentile, tenace in grado di dare molto e abbastanza forte da sopportare le ingiustizie.

Le donne in questo libro sono il cuore pulsantel’anima, figure che hanno retto il peso della perdita, che hanno saputo rialzarsi e sfidare il destinoCapaci di amare con ardore, senza mai dimenticare sé stesse, pretendendo rispetto per il loro ruolo di matriarche in una società maschilista e arretrata.

Pina, Maria Grazia, Maddalenadonne del passato, del presente, del futuro.

Ognuna artefice del proprio destino in un mondo che si evolve velocemente, ma i cambiamenti colpiranno anche loro, saranno costrette a stare al passo.

Ma il passato incombe ancora prepotentemente su tutti loro, con le sue ombre, con i suoi segreti e bugie. È giunto il tempo della verità e del perdono.

Molte sono state le recriminazioni, le perdite, e gli odi, e solo chi crede nella sua terra, nelle sue origini ha la forza di guardare al domani con occhi nuovi, portando sempre nel cuore il ricordo di chi non c’è più, e restando in attesa di coloro che stanno tornando a casa, perché casa è là dove c’è la propria storia.

Un romanzo ricchissimo sotto tutti i punti vista, capace di intrattenere il lettore con un lessico semplice e fluido; trama piena, avvincente, interessante. Quello che ho apprezzato di più è la cura dedicata ai vari personaggi, ne ho ammirato la crescita, la maturazione, sempre in perfetta sintonia al periodo storico vissuto.

Mi complimento, altresì, con l’autrice Catherine Banner, di origini inglesi, per essere riuscita a raccontarci, con un autentico realismo, una parte importante della nostra storia italiana.

SCHEDA DELL’EDITORE

1914, isola di Castellamare, Sicilia. In una notte d’inverno, due bambini nascono in due case distanti solo qualche centinaio di metri. Il primo è figlio di Amedeo, il medico condotto dell’isola, e di sua moglie Pina. Anche il secondo è figlio di Amedeo, ma la madre è la sua amante, Carmela, moglie del sindaco di Castellamare. Insidioso, lo scandalo si propaga nell’isola e distrugge la reputazione di Amedeo, che è costretto a lasciare il suo incarico e si ritrova a gestire un bar-pasticceria all’interno di una vecchia casa. La terrazza del bar diventa per lui – e per gli abitanti di Castellamare – un luogo da cui osservare e commentare un mondo che cambia vorticosamente e che porta sull’isola la tragedia di due guerre mondiali, lo slancio della ricostruzione, le tensioni sociali e politiche degli anni Settanta, la sfacciata abbondanza degli anni Ottanta e le luci e le ombre del nuovo millennio. Sebbene a Castellamare tutto sembri immutabile, i figli e i nipoti di Amedeo non soltanto vivranno tutti questi cambiamenti, ma v’intrecceranno anche le loro storie di amicizia e d’amore, di morte e di speranza. Perché la Grande Storia è sempre fatta di piccole storie. E s’illumina di una luce nuova se c’è qualcuno disposto a raccontarle. Magari da una casa su un’isola…

Katja Macondo

Recensione libro “Sette giorni di grazia” di Gracia Mercadè

“Una donna che voleva essere libera di amare, un popolo che voleva essere libero di scegliere: la storia di una donna che cambiò la storia del suo popolo.” Una premessa ad ampio respiro, come lo è Sette giorni di grazia di Carla Garcia Mercadè. Edizioni Salani. Un romanzo storico che ci svela una triste pagina della Barcellona del 1870, quando l’intera città è alle prese con una rivolta popolare. “Molti l’hanno dimenticata. Altri l’hanno chiamata rivolta. Ma è stata una guerra.

La guerra dei sette giorni, Senza sosta. Senza pace. Senza compassione.” Marianna, giovane donna in fuga dal proprio passato, diventa suo malgrado l’eroina di una storia più grande. La sua vita, scandita dai continui rintocchi delle campane, ci viene svelata con tutto il suo bagaglio di dolore. I segreti di una famiglia non hanno mai fine, e sarà proprio Marianna a scoprire la portata di tale peso. Il suo passato le è stato negato, la verità custodita con fredda determinazione. Un dolore immenso la costringe a fuggire da una vita non sua, e a nascondersi nei quartieri poveri di una Barcellona, che la accoglie come una propria figlia; è conosciuta come Herbetes, l’Erborista, perché conosce i segreti delle piante e sa come usarle per guarire gli uomini.

Barcellona sta andando incontro ad uno dei periodi più tristi della sua storia, il malcontento imperversa a causa della chiamata alle armi del governo spagnolo, che obbliga i ragazzi a servire nell’esercito, e che penalizza i più poveri, che non sono in grado di pagare l’imposta per esimersi dalla chiamata.

Quindi il protrarsi di nuove guerre portano allo stremo una popolazione già alle prese con la miseria e con i soprusi dei poteri forti. Quando scoppia la rivolta contro questo iniquo sistema di arruolamento nell’esercito, le vite di molti cambiano inesorabilmente, tra cui quella di Marianna, che si trova, dopo molti anni, a dover fare i conti con i segreti della sua famiglia. L’amore l’ha ferita, sconfitta, e ritrovarsi di fronte all’amore più grande della sua vita ed essere consapevole che per loro non ci sarà mai un domani, l’annienta. La consapevolezza di aver commesso un grande errore di valutazione, di essersi fatta accecare dall’amore, le impediscono di perdonare l’imperdonabile. La delusione è così lacerante, distruttivo, da averle tolto ogni gioia. Vive una vita misera, lei nata e cresciuta nel lusso, senza rammarico con il cuore arido, disilluso dall’amore.

Dedita al suo mestiere di erborista, si ritrova coinvolta in prima persona nella rivolta. “Tutti abbiamo bisogno di svelare i misteri, disfare nodi e trovare il filo. Perchè se no, non c’è verità…Ora tocca a me districare la mia. La nostra. Quella di tutti noi che vivemmo quegli anni e, soprattutto, quei sette giorni. Sette giorni. Perchè, sebbene oggi non resti più nessuno dell’epoca, tu ci ricorderai. E ci libererai dall’ingiustizia della dimenticanza. Anzi, molto di più : ci salverai dalla trascuratezza dell’oblio.” La sua figura di donna, infermiera e combattente è così forte e ben delineate, da diventare il fulcro dell’intero romanzo. Ne emerge un “personaggio” di grande rilievo, che ha un forte ascendente su tutti quelli che lo circondano durante quei terribili giorni di Barcellona. Ho amato molto questa eroina moderna, emblema di valori ormai perduti, sempre fedele a sé stessa fino alla fine. Coraggiosa come poche, si rende protagonista di un’azione audace, che la Storia le riconoscerà.

I protagonisti della rivolta emergono con forza in queste pagine pervase da grandi ideali, e da forti passioni, fieri e a testa alta affrontano il proprio destino dimenticando la paura. Un romanzo che merita tutta la Vostra attenzione. Appassionante, ricco, coinvolgente, smaschera eventi e personaggi che hanno cambiato il corso degli eventi. Una triste verità che costringe i nostri protagonisti a correre veloce incontro al loro destino verso un epilogo drammatico, inaspettato e nello stesso tempo grandioso. Romanzo ricco di dettagli storici, controbilanciato da una storia intrigante che spinge il lettore a continuare con piacere la lettura. L’autrice Carla Gràcia Mercadè ha in pieno soddisfatto le mie aspettative. Il buon ritmo narrativo, la scrittura piena e scorrevole mi hanno totalmente conquistata. I fatti narrati in questo romanzo si basano su documentazioni bibliografiche.

“Si racconta che a Barcellona, nel 1870, all’epoca della Rivolta delle Quinte, una donna umile, incarnazione del Popolo con la maiuscola, passò un giorno intero a tirare la corda del campanile di Gràcia,facendolo suonare senza sosta. Le forze militari non osavano muoversi per timore di della grande Rivoluzione che il rintocco della campana faceva presagire. Quandi i ribelli erano ormai dall’altra parte della montagna, il campanile di Gràcia continuava a suonare.” Settimanale La campana de Gràcia , 24 dicembre de 1932, articolo di Antoni Esclasans. Una precisazione della Mercadè, “molti personaggi come Marianna…sono frutto della fantasia dell’autrice. O meglio, sono personaggi che avrebbero potuto vivere fedelmente una vita nascosta e giacere in tombe senza nome.”

SCHEDA DELL’EDITORE

Barcellona, 1870. Nel quartiere di Gracias Marianna è chiamata ‘Herbetes’, l’Erborista, perché conosce i segreti delle piante e sa come usarle per guarire gli uomini. Quelli che Marianna non conosce sono i segreti del suo passato, quando neonata è stata accolta in casa Leedó, la famiglia proprietaria della grande fabbrica che dà lavoro a tanti abitanti del quartiere. È bella Marianna, bella e fiera, e quando scoppia la rivolta contro un iniquo sistema di arruolamento nell’esercito, che penalizza i più poveri, non esita a unirsi ai rivoltosi.

Nei sette convulsi giorni della rivolta, scanditi dal suono continuo della campana che chiama a raccolta il popolo, Marianna scoprirà che una famiglia può nascondere tanti, troppi segreti, e che l’amore travolge e ferisce e non concede scampo a nessuno. Un romanzo pervaso da grandi ideali e forti passioni, in cui i protagonisti affrontano a testa alta il loro destino e, dimenticando ogni paura, corrono veloci verso un epilogo drammatico e grandioso.

Katja Macondo

Recensone libro “Sotto un cielo di carta” di Roberto Ritondale

Finalmente un romanzo nuovo, innovativo, stimolante. Sotto un cielo di carta, Leone Editore. Lo definirei il libro “svolta”, quello che incontri poche volte nella vita, e che lascia il segno. In questo caso un segno indelebile, mi ha sorpreso, e nel contempo ha suscitato in me profonde riflessioni su questioni importanti, quali la libertà d’espressione, la comunicazione, la potenza e l’importanza del libero pensiero. Roberto Ritondale, autore e giornalista, ha saputo tradurre in parole una storia di ‘fantasia’ che risulta paurosamente attinente alla realtà del nostro tempo, dove imperversa una strategia del controllo da parte dei poteri forti, attraverso i social e la rete. E per l’appunto, la società descritta nel libro di Ritondale, è un mondo dove vige il “controllismo” e dove è bandita la carta. Immaginereste un mondo senza carta?

E le conseguenze di una scelta del genere? Attraverso le parole di Odal, un vecchio cartolaio nostalgico, che non si rassegna a vivere in un mondo senza carta, comprendiamo appieno il disfacimento di un’intera società civile, che paga a caro prezzo la ricerca ossessiva di un ideale di giustizia e di uguaglianza, in nome di un fantomatico progresso. Il regime del generale Sainon, salito al potere con un golpe militare, obbliga, con l’uso della forza e dei soprusi se necessario, a rispettare il suo Statuto. Sainon teorizza un nuovo sistema politico, economico e sociale, e lo fa attraverso il “controllismo”. “Ognuno avrà di meno, meno privacy, meno soldi, meno libertà, per avere di più, più sicurezza personale, più servizi, più ordine sociale.

Tutto diventa controllabile, ogni cittadino viene dotato di un tablet e solo con quello può connettersi, interagire, comunicare. Solo dal tablet può leggere libri e giornali, può studiare, prendere nota, fare acquisti; questo perché ogni tablet è connesso a un grande server che incamera i dati e li incrocia in tempo reale, scovando evasori e rivoluzionari, sorvegliando i gusti e i sentimenti, impedendo gli sprechi e le truffe.” Nessuno può trasgredire lo Statuto, la quotidianità è scandita dalle sue rigide norme, e chi vi si oppone viene eliminato come essere pensante, attraverso la demenza indotta. Un mondo crudele, inimmaginabile e insopportabile per il povero e nostalgico Odal, che non si rassegna. Gli manca terribilmente sfogliare un giornale, maneggiare un libro, scrivere una lettera su carta, e magari spacchettare un bel pacco regalo, ma quello che più gli manca è la sensazione di libertà. Perché quello è il vero motivo per cui la carta è stata bandita, non è controllabile. “I giovani, non coscienti del passato, fissano il proprio tablet con gli occhi persi, le cuffie sulle orecchie, assorbiti da una gioia priva di luce: sguardi senza colore, come doni senza carta regalo.”

Il Web si era rivelato un grande inganno, aveva promesso di avvicinare le persone e invece le aveva inesorabilmente allontanate. La rete si era fatta ragnatela, intrappolando invece di liberare.” Odal ne è convinto, talmente tanto, da sfidare le autorità più volte con il rischio di incappare nella terribile demenza indotta. E nonostante sia sorvegliato e segnalato come un nostalgico, Odal combatte una sua personale guerra al sistema, coinvolgendo, suo malgrado, sua nipote, sostenitrice del “controllismo”. Le descrive un mondo ormai perduto, forse non perfetto, ma libero di esprimersi con le parole e con i colori, e soprattutto libero di vivere le emozioni alla luce del giorno. Le dipinge un passato a lei sconosciuto, inducendola a riflettere su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Tanti personaggi si confrontano con Odal, mettendo in discussione il suo pensiero, molti lo sostengono, altri lo denigrano, altri addirittura lo deridono. Le vicende si susseguono velocemente, come veloci sono i cambiamenti in atto.

Si respira nell’aria, si sente sulla pelle il malessere, e sarà proprio lui, un sognatore, a dare una piccola ma importante spinta al cambiamento, attraverso una sua geniale intuizione. Perché “esistono leggi non scritte: quelle della compassione, dell’indulgenza e della carità…” Sono felicissima di aver letto questo libro. Lo dico così, semplicemente. Non ci sono parole per esprimere tutta la mia soddisfazione. Sono sazia come lettrice, grata di aver incontrato sulla mia strada queste pagine così ricche di significato, capaci di indurmi a riflettere sull’uso corretto dei social, e a lottare sempre per la mia libertà. Di non credere nei falsi idoli, o regimi ideali. Non esiste la società perfetta e non esisterà mai, ma esistono le persone con i loro pensiero, con la loro unicità, e sono loro la vera anima dell’umanità intera. Sotto un cielo di carta è stato pensato per giovani lettori. Personalmente lo consiglio a tutti indistintamente, perché è un’esperienza assolutamente da non perdere, per i contenuti e per la presenza di una prosa semplice che cattura e ammalia.

SCHEDA DELL’EDITORE
Odal Clean vive i suoi ultimi anni nella Grande Nazione del Nord, governata dal feroce regime del generale Sainon, promotore di una nuova ideologia, il Controllismo. Per sorvegliare in ogni minimo dettaglio la vita dei suoi cittadini, la dittatura di Sainon ha proibito l’utilizzo della carta. L’unico modo possibile per leggere e informarsi è utilizzare un tablet collegato a un grande server governativo. Ma Odal non ha intenzione di arrendersi, e nonostante le sue sofferenze ha più di un asso nella manica: il senso dell’umorismo, la vicinanza ai movimenti clandestini di opposizione al regime, il toccante amore della moglie e della nipote, l’esperienza come ex cartolaio. E sarà proprio quest’ultima la carta decisiva che Odal potrà giocare nella lotta contro Sainon.

Katja Macondo