Presentato “Un sogno chiamato Casa”

Ha avuto luogo domenica 21 gennaio la presentazione di “Un sogno chiamato Casa”, il libro dedicato alla vita e alle opere di padre Mario Lupano, scritto dalla giornalista Veronica Iannotti. All’evento, tenutosi presso la struttura di accoglienza “Casa Carla Maria” di Borgo San Martino, sono intervenuti: Paola Striglia (presidente dell’Associazione Fides Onlus), Davide Croci (vicepresidente dell’Associazione), Angela Tomasoni (direttrice della struttura “Casa Carla Maria”), Giovanni Serazzi (sindaco di Borgo San Martino) e don Pietro Panceri (parroco di Saint-Vincent).

Da sinistra: Angela Tomasoni, don Pietro Panceri, Veronica Iannotti, Paola Striglia, Davide Croci

A vent’anni dalla scomparsa di don Lupano, il libro narra di come nacque l’idea di realizzare le strutture che ad oggi permettono di accogliere e assistere numerosi ragazzi in difficoltà. Attraverso le opere di don Lupano, molti giovani si sono ispirati a lui, seguendolo nel progetto che attualmente vanta diversi istituti in Italia e la realizzazione di un complesso ospedaliero in Madagascar. Per ulteriori informazioni in merito, è possibile consultare il sito dell’Associazione Fides Onlus.

Per ordinare il libro e richiedere ulteriori informazioni in merito è possibile inviare una mail alla redazione di Real Press, oppure consultare la scheda tecnica.

La luna delle sei: il nuovo libro edito da Real Press

La luna delle sei” il nuovissimo libro edito da Real Press!

La luna delle sei” non è una “qualunque” raccolta di poesie. Vi sono impressi i versi che hanno accompagnato la vita dell’autore per trent’anni.

Versi poetici snodati tra sofferenza, fughe dal dolore, sprazzi di gioia, amori trovati e perduti, ed una smania sempre più crescente di risorgere a nuova vita.

Riemergere in modo risolutivo dal dolore che lo ha accompagnato, ospite indesiderato, per così tanto tempo: le pagine finali di questa raccolta lo testimoniano più che bene.

Una raccolta di poesie avvincente, una vera e propria storia di vita raccontata, quasi fosse una sorta di romanzo, che condurrà il lettore ad immergersi nella riflessione più profonda e nella certezza che un domani migliore ci può sempre essere.

Per ordinare il libro, scrivere a: info@realpress.it

Scheda tecnica

Brossura: 200 pgg.

ISBN 978-88-94-057-751

Autore: Carlo Molinari

Edizioni: Real Press

Pubblicazione: Dicembre 2017

Un sogno chiamato Casa: il nuovo libro edito da Real Press

È uscito un nuovo volume edito da Real Press: “Un sogno chiamato Casa“!

Questo libro racconta di un sogno, durato una vita e realizzato attraverso gli sforzi e la volontà di un uomo: Padre Mario Lupano. A lui, nel tempo, si sono affiancati uomini e donne, che hanno raccolto i suoi insegnamenti e i suoi ideali, dando vita a numerose ed importanti strutture di accoglienza, in Italia e all’estero.

La vita e le opere di Padre Mario Lupano, sono raccontata dalla giornalista Veronica Iannotti, che narra di lui e delle numerose persone che lo hanno conosciuto e che hanno contribuito a rendere possibile quel sogno chiamato “Casa”. Oggi, attraverso il lavoro di volontari e laici consacrati, l’eredità di Padre Lupano è viva più che mai, e le testimonianze maggiori sono lì, nelle case per i bisognosi erette in Piemonte e in Lombardia, e nel Centro Missionario di Sakalalina, in Madagascar. Un ricordo vivo, una testimonianza diretta di un uomo straordinario, precursore e innovativo, che ha saputo contagiare con il suo spirito forte, tantissime persone altrettanto straordinarie.

La creazione del libro è stata richiesta dall’Associazione Fides Onlus, fondata da Padre Lupano.

Per ordinare il libro, scrivere a: info@realpress.it

Spedizione gratuita in tutta Italia.

Scheda tecnica:

Brossura: 118 pgg.

ISBN: 9-788894-057720

Autore: Veronica Iannotti

Edizioni: Real Press

Pubblicazione: Dicembre 2017

Recensione libro “Vorrei incontrarti ancora una volta” di Kate Eberlen

Decisamente un’esperienza alternativa il libro “Vorrei incontrarti ancora una volta” di Kate Eberlen. La Garzanti è riuscita, anche stavolta, a sorprendere il lettore con una storia appassionante, unica nel suo genere che mi ha convinto da subito.

Il romanzo parte in sordina, in punta di piedi, i protagonisti Tess e Gus appaiono acerbi, impauriti, in balìa dei sensi di colpa, ingabbiati in una vita che non hanno scelto, né tantomeno voluto; entrambi annaspano e sognano un futuro diverso. Il destino sembra dar loro un’occasione, un’unica possibilità, “il tempo di un battito di ali, di un respiro e l’istante è perduto per sempre”.

Le loro vite sono state sconvolte da eventi che hanno condizionato, da quel momento in poi, tutte le loro scelte futureUn destino crudele che si oppone a queste due anime e al loro amore.

Tess e Gus si alternano, mettendosi a nudo, durante un lungo viaggio percorso inconsciamente in simbiosi, alla ricerca della felicità perduta. Due storie distinte e separate, che viaggiano parallele attraverso gli anni.

A questo punto è necessario sottolineare l’abilità dell’autrice Kate Eberlen per aver disseminato lungo tutto il percorso delle vite dei protagonisti, delle briciole di “Pollicino”, spiragli da cui sbirciare, sognare, un filo invisibile per il lettore che si ritrova ad assaporare il dolce amaro delle occasioni mancate.

Una lettura intensa che va in crescendo, come in crescendo è la vita, che obbliga entrambi a confrontarsi con scelte difficili, con delusioni e problemi di salute che li costringono a rinunciare, ancora una volta, ai loro progetti. I sogni di Tess sono stati accantonati dopo la morte della madre, costretta a prendersi cura della sorellina affetta da una forma di autismo. Mentre per Gus sono i sensi di colpa a reprimere i suoi sogni, dopo la morte del fratello, intraprende un percorso professionale, come medico, solo per non deludere le aspettative dei genitori. I

Intanto gli anni passano, e le loro vite viaggiano parallele su binari diversi, veloci, assorbiti ognuno dai propri doveri, ma sempre con una perenne sensazione di inadeguatezza, di insoddisfazione. L’amore nelle loro vite si affaccia sotto forma di compagno, moglie, una continua rincorsa per raggiungere il piacere, per colmare quel vuoto inspiegabile che pian piano mina le basi della loro vita.

Le atmosfere di questa storia mi ricordano moltissimo il film “Sliding doors”, del 1997, con Gwyneth Paltrow, un continuo sfiorarsi per non incontrarsi, passaggi ed occasioni perdute che lacerano i protagonisti e anche i lettori in questo caso. Come una porta chiusa può cambiare il corso degli eventi, e decidere per te, così è stato anche per Tess e Gus, la vita ha deciso per loro.

È innegabile, sono fatti l’uno per l’altra, si sente, si percepisce, si respira, una sensazione bellissima che accompagna il lettore durante la lettura. Hanno le stesse passioni, li guida lo stesso spirito, si amano senza conoscersi, perché sanno che lì fuori c’è qualcuno che li attende.

E quando finalmente si sfiorano, si riconoscono.

Le parole sono superflue, si completano e si amano, così semplicemente, perché questo è il loro destino.

Lettura piacevole, scorrevole nonostante alcuni argomenti trattati, quali la disabilità, la malattia e il lutto. Un romanzo d’amore, arricchito da passioni forti, da sconfitte e rinascite. Un tripudio di personaggi che hanno posto l’accento sulle tante scelte che ognuno di noi compie in nome di un dovere morale e sociale, scelte difficili in grado di condizionare un’intera vita. È facile immedesimarsi e ritrovare un pezzetto della propria vita tra queste bellissime pagine.

Il libro mi è piaciuto molto, unica nota dolente il finale, l’ho trovato un po’ scarno e frettoloso, scontato in alcuni punti, ma questo nel complesso non ha in alcun modo condizionato o deluso le mie aspettative.

Storia che colpisce dritto al cuore. Lo consiglio.

“Ci siamo conosciuti quando avevamo diciott’anni, ma poi c’è stato un cambio di rotta nel destino e abbiamo continuato a mancarci a vicenda… Io so solo che queste ultime ventiquattr’ore mi sono sembrate una vita intera, la vita che avrebbe dovuto essere”.

SCHEDA DELL’EDITORE

Mai vicini abbastanza per sfiorarsi davvero

Dicono che il destino, come un abile prestigiatore, decida chi entrerà nella nostra vita. E per Tess e Gus, due diciottenni desiderosi di cogliere tutto quello che il futuro ha da offrire, il destino si presenta sotto forma di un incontro tanto casuale da essere indimenticabile. In una calda mattina estiva, nella basilica di San Miniato al Monte a Firenze, i loro sguardi si incrociano per la prima volta. È questione di un attimo fugace. Qualche parola sussurrata nel silenzio. Un sorriso rubato, forse promessa di un domani insieme.

Ma le loro strade si dividono con la stessa fugacità con cui si erano sfiorate. Tess è costretta a crescere prima del previsto: abbandona il suo sogno di diventare una scrittrice per prendersi cura della sorellina. Gus finisce intrappolato in una vita che non gli appartiene rinunciando all’arte che ama tanto. Entrambi sono andati avanti e sembrano essersi lasciati alle spalle quell’estate toscana. Eppure, il destino, nel corso del tempo, li fa incontrare di nuovo. Sempre per brevi istanti di silenziosa perfezione dove tutto torna a essere possibile. Poi li allontana di nuovo.

Fino a quando, un giorno di molti anni dopo, sono di nuovo là dove tutto è cominciato. Oggi come allora, a separarli qualche metro di distanza. Una distanza che forse non è più incolmabile. Perché le loro sono due vite parallele con un unico destino: incontrarsi per sempre.

Un romanzo che segna l’esordio prorompente di Kate Eberlen sulla scena letteraria internazionale. A pochi giorni dalla pubblicazione, venduto in oltre 25 paesi, ha subito scalato le classifiche, affascinando migliaia di lettori e innescando un passaparola senza precedenti. Una storia dolce e delicata. Un monito a non lasciarci ingannare e a non pensare che nella vita tutto sia già scritto. Anche quando crediamo che nulla possa più cambiare, il destino è sempre dietro l’angolo, pronto a stupirci con effetti speciali.

KATE EBERLEN

Kate Eberlen è cresciuta in una piccola città vicino a Londra. Adora l’Italia e cerca di passarvi più tempo possibile. È sposata e ha un figlio.

Katja Macondo

Recensione libro “La bambina che ascoltava i fiori” di Stephanie Knipper

Io conosco l’anima di ogni fiore. Ma nessuno conosce il mio segreto.

“Seth era una costante della sua vita quanto sua madre. Come lei, capiva che parlare non era l’unico modo per comunicare.”

Libro intenso quello di Stephanie Knipper, con “La bambina che ascoltava i fiori”, la Nord ha fatto ancora una volta centro.

La dimensione surreale di queste pagine allargano il cuore e donano una speranza là dove tutto sembra perduto.

Una toccante vicenda impostata sul perdono, sulla volontà di vedere, ma soprattutto, di andare oltre le apparenze. La malattia, o le disabilità non sono considerate delle barriere, mai percepite come un impedimento alla vita e Antoinette con le sue melodie, e con la sola forza degli sguardi e delle mani comunica con il mondo che la circonda, una realtà che non sempre l’accetta in pieno, né la comprende fino in fondo.

Il suo stato le consente di ritagliarsi uno spazio tutto suo, dove le parole non sono necessarie, e parlare non è l’unico modo per comunicare. Antoinette ha un dono, riesce a creare una particolare connessione emotiva con la natura, attraverso le sue melodie richiama la vita nei posti più inattesi, il suo canto si lega alla madre terra, ne diventa parte, facendosi travolgere da una dimensione irreale, onirica, così forte da portare la guarigione là dove la malattia ha preso il sopravvento.

Molti pensano ad un prodigio, al miracolo, ma per la piccola ogni volta c’è sempre un prezzo da pagare, che di volta in volta, diventa sempre più alto; Rose, la madre gravemente ammalata, questo lo sa molto bene, ne è cosciente e non è disposta a far soffrire sua figlia, neanche per salvare sé stessa, cercherà in tutti i modi di proteggere la sua bambina da chi vorrebbe usufruire di uno dei suoi “miracoli”.

Per questo motivo Rose chiama al suo capezzale sua sorella Lily, incomprensioni del passato le hanno allontanate, ma ora è giunto il momento di perdonare, di dimenticare, perché non c’è più tempo, a Rose resta poco da vivere e qualcuno dovrà prendersi cura di Antoinette. Lily dopo un’iniziale rifiuto, e tentennamenti, impara a conoscere sua nipote che le è ostile fin dal primo momento. Così vicine e così lontane, le lega un solido e forte legame di sangue, ma c’è qualcosa di irrisolto tra loro, una incomprensione latente, un rancore profondo, eppure sono così simili; le molteplici differenze si assottigliano quando entrambe si rendono conto di percepire la realtà in modo differente, slegato da ogni ragione, entrambe vivono e hanno vissuto un profondo disagio, e questo le accomuna, le rende forti e consapevoli.

“Ma non capisci? Questo è esattamente il motivo per cui sei perfetta per lei. Tu sai com’è essere fuori, e guardare dentro. Tu sai che diverso non vuol dire difettoso.”

Quando Antoinette canticchia le sue melodie, tutti dimenticano il dolore e ora finalmente non si sente più sola, quella strana, ora c’è con lei sua zia Lily, anche lei vive in un mondo tutto suo, dove contare la rilassa e dona il giusto ordine alle cose, in fondo, in fondo non sono così diverse.

Anche l’amore sarà una componente forte in questo bellissimo libro della Knipper, un amore perduto, annegato in un mare di errori e rancori, Lily non ha la forza di riprendere in mano un rapporto che l’ha fatta soffrire molto, Seth è lì a due passi, sempre pronto ad accoglierla, ad aiutarla, è l’unico a comprendere il suo disagio, l’unico che l’ha sempre difesa e sa che non essere perfetti, non vuole dire essere difettosi. Nel passato li ha uniti l’amore, oggi li unisce l’affetto per Antoinette, Seth l’ha vista crescere, è stato per lei un amico, un padre, un confidente in un mondo senza parole, sempre in sintonia sulla musica, sull’arte e sulla natura.

Lily ritroverà l’amore per Seth? Antoinette riuscirà a guarire sua madre?

Le risposte a queste domande sono racchiuse in questo sorprendente libro, una porta spalancata sulle mille sfaccettature della vita che non sempre risulta facile, non sempre giusta, ma che vale sempre la pena di essere vissuta, anche se non si è perfetti, perché La vita non è una linea retta. È una grande ragnatela che si rigira e s’ingarbuglia. Ci arrampichiamo sui suoi fili finché non veniamo in contatto con le persone che sono destinate a entrare nella nostra vita. Magari i fili si annodano, ma non si spezzano, e i percorsi inattesi spesso sono i migliori.”

SCHEDA DELL’EDITORE

Un romanzo intenso come il profumo dei gigli, una protagonista innocente come una margherita e un legame delicato come una rosa bianca: ecco perché La bambina che ascoltava i fiori ha incantato sia la critica sia il pubblico.

«Un libro intenso e coinvolgente come la vita dei suoi protagonisti» – Book Reporter

Sono passati dieci anni da quando Lily se n’è andata di casa, dieci anni in cui ha cercato di fuggire dal passato e dalle responsabilità che non era pronta ad affrontare. Ma adesso è venuto il momento di tornare: Rose, sua sorella, è malata e ha bisogno che lei si prenda cura di Antoinette, la figlia di dieci anni. Non appena la incontra, Lily capisce che pure Antoinette fugge. Fugge dalle carezze di sua madre, dalle parole che non riesce a dire, dal mondo che la spaventa e la confonde. E si nasconde tra i fiori. Il vivaio di famiglia è per Antoinette l’unico luogo in cui sentirsi protetta e in pace. Perché i fiori non abbracciano e non chiedono. I fiori non hanno voce, proprio come lei. Eppure a poco a poco Lily si rende conto che, dietro il suo silenzio, Antoinette custodisce un dono straordinario: le basta un tocco per ridare vita a un fiore appassito, e per curare una persona. Solo che quel dono ha un prezzo: tutta la sofferenza che toglie agli altri, Antoinette la prende su di sé. Per questo Rose non vuole essere guarita, e per questo chiede a Lily di aiutarla a mantenere il segreto. E, di fronte a quella bambina così speciale, per la prima volta nella vita Lily sente di non poter più fuggire. Perché il suo posto è con Antoinette. Qualunque siano le conseguenze…

Katja Macondo

Recensione libro “Eppure cadiamo felici” di Enrico Galiano

Ringrazio la Garzanti per “Eppure cadiamo felici” di Enrico Galiano.

Wenn ein Glückliches fällt. “Quando la felicità è qualcosa che cade”.

La felicità, dov’è la felicità?

 “Quel verso parla della bellezza delle cose che cadono, della bellezza delle cose che nessuno vuole, raccontano il calore che sprigiona da ciò che non vediamo, da ciò che non consideriamo, da ciò che ci sembra inutile, mentre per Gioia la maggior parte della bellezza del mondo se ne sta lì, nelle cose inutili: nelle cose che cadono, nelle cose che tutti buttano via.”

Gioia, ogni giorno, scrive con la biro questi versi sul suo braccio, “perché le cose importanti bisogna prenderle, e fare la fatica di ricordarselo”.

La bellezza dei versi, il suono stesso delle parole in diverse lingue, sillabe intraducibili che racchiudono un mondo di significati, canzoni e testi indimenticabili, un amore breve e tormentato, lezioni di scuola e di vita, sono gli ingredienti che hanno reso questo romanzo di Enrico Galiano un esempio da seguire per diventare un “bravo” scrittore, in grado di scrivere, in modo semplice ed incisivo, e arrivare all’anima del lettore con cautela, con tatto, lasciando dietro di sé una magia, un buon sapore.

Ho sottovalutato questa lettura, pensavo di leggere una storia leggera, pigra, invece mi sono ritrovata tra le mani un libro che annovero tra quelli indimenticabili.

Mi ha, pagina dopo pagina, sorpresa, catturata. La sua protagonista Gioia è ben definita, limpida, tutto ruota intorno alle sue emozioni, alla sua personale visione della realtà che la circonda. Una realtà non delle più felici, per difendersi costruisce un muro intorno a sé, i mattoni sono le parole, semplici sillabe che descrivono i suoi stati d’animo, il suo modo di proteggersi da un mondo che la rifiuta, che non si prende il disturbo di capirla.

Le sue più grandi passioni sono:

La musica dei Pink Floyd: “perché le canzoni hanno il potere di dire chi sei, cosa fai, e di dirlo con quelle esatte parole lì, quelle che avresti sempre voluto usare tu, e lo fanno così bene che ti danno la sensazione che non le abbia scritte un cantante, ma tu, che siano proprie tue”.

La fotografia. Ama immortalare le persone di spalle: “Capisci? Le facce delle persone mentono, mentono sempre. Anche quando sono lì, ‘naturali’, non sono mai naturali per davvero… E invece di spalle, di spalle… di spalle dicono sempre la verità”.

e in ultimo, la più importante, è la sua ricerca ossessiva delle parole intraducibili, in tutte le lingue del mondo. Queste parole sono nate dall’esigenza di descrivere quell’attimo, quell’istante della vita così particolare, per cui non sono abbastanza le parole di uso comune, bisogna coniarne di nuove, per meglio identificare una sensazione o uno stato d’animo.

La sua situazione familiare non è delle più rosee, a scuola non va meglio, i compagni la deridono per le sue stravaganze, che per lei sono vitali, l’aiutano ad esorcizzare tutto il marcio che sente dentro e fuori di sé. Arriva al punto di crearsi un’amica immaginaria, un alter ego che condivide con lei i percorsi tortuosi della quotidianità. Solo il suo professore di filosofia si è accorto di lei, lei come persona, intavolano spesso discussioni sulle mille domande che l’assillano. Tanti quesiti che necessitano di risposte e solo il suo insegnante riesce a colmare le sue lacune, spunti su cui Gioia riflette e agisce.

Quando incontra Lo la sua vita cambia, non sarà mai più la stessa.

“C’è stato un momento in cui mi sono sentita persa, sai? Tutti hanno iniziato a dirmelo, che mi stavo perdendo, ed è strano perché è vero, in quel punto lì mi sono persa ma quel momento è stato proprio la notte che ho incontrato te, e a me lì è sembrato di aver trovato qualcosa… mi sembrava di parlare con la parte nascosta di me… la parte bella che nessuno, nemmeno io, aveva ancora visto”.

Ci sarà da quel momento in poi “un prima e un dopo Lo”.

Le loro vite si scontrano durante una delle serate più tristi della vita di Gioia, il freddo della notte, la rabbia di non poter cambiare le cose, e il solo desiderio di scappare via, lontano da tutti, la portano a conoscere l’amore della sua vita. Due anime perse, che finalmente si ritrovano. Scatta subito una sintonia speciale tra loro, una relazione breve, oscura, tormentata, qualcosa angoscia Lo, Gioia lo intuisce, vorrebbe aiutarlo, ma anche lui come lei ha eretto delle barriere, e quello che lei riesce a vedere sono solo flebili bagliori tra gli spiragli della sua anima.

Come fare, come aiutare un cuore in frantumi? Gioia continua a chiederselo, Lo è sfuggente, tanto da scomparire improvvisamente dalla sua vita. Non c’è una ragione, nessuno sembra conoscere la sua vera identità, troppi misteri, troppe domande assillano Gioia, e solo grazie alla sua perseveranza e alla sua amica immaginaria, riuscirà a districarsi tra mille ostacoli, e combattere un dolore sordo, solitario, per la perdita del suo amore.

Verranno alla luce verità sconcertanti, dolori mai sopiti e questioni mai risolte, e lei sarà l’unica a dimostrare che amare significa sacrificarsi, perdere, perfino l’amore stesso. Le sue indagini porteranno alla luce anche una nuova Gioia, più consapevole, più forte, non più succube di una società ostile. Riesce finalmente a entrare in contatto con gli altri, non ha più paura di restare ferita. Il suo sguardo è cambiato, e Lo ne è l’artefice, forse inconsapevole, perché ora è tempo che anche lui affronti i suoi demoni e ritrovi la sua pace.

Questa è la verità più difficile da mandar giù. “E quale sarebbe?” “Che ogni luce ha un cuore di buio.”

Romanzo insieme delicato e graffiante, sublime nella sua semplicità. Innovativo, e unico nel suo genere. Pagine amare sulla nostra società, così mutevole, così distratta, su cui spicca una protagonista vera, capace di rialzarsi e lottare per un sogno.

Lo consiglio a tutti i lettori, di tutte le età, perché non si finisce mai di imparare e la storia di Gioia e Lo mi ha insegnato l’amore, ma soprattutto l’amore per le parole.

E a questo proposito voglio segnalare, che al termine del romanzo, c’è la possibilità di sfogliare una interessante raccolta di parole intraducibili, leggendole è facile imbattersi in una parola a noi cara, capace di descrivere un momento della nostra vita. Provateci!

SCHEDA DELL’EDITORE

Non aver paura di ascoltare il rumore della felicità

«Sai perché mi scrivo sul braccio tutti i giorni quelle parole, “la felicità è una cosa che cade”? Per ricordarmi sempre che la maggior parte della bellezza del mondo se ne sta lì, nascosta lì: nelle cose che cadono, nelle cose che nessuno nota, nelle cose che tutti buttano via.»

Il suo nome esprime allegria, invece agli occhi degli altri Gioia non potrebbe essere più diversa. A diciassette anni, a scuola si sente come un’estranea per i suoi compagni. Perché lei non è come loro. Non le interessano le mode, l’appartenere a un gruppo, le feste. Ma ha una passione speciale che la rende felice: collezionare parole intraducibili di tutte le lingue del mondo, come “cwtch”, che in gallese indica non un semplice abbraccio, ma un abbraccio affettuoso che diventa un luogo sicuro. Gioia non ne hai mai parlato con nessuno. Nessuno potrebbe capire.
Fino a quando una notte, in fuga dall’ennesima lite dei genitori, incontra un ragazzo che dice di chiamarsi Lo. Nascosto dal cappuccio della felpa, gioca da solo a freccette in un bar chiuso. A mano a mano che i due chiacchierano, Gioia, per la prima volta, sente che qualcuno è in grado di comprendere il suo mondo. Per la prima volta non è sola. E quando i loro incontri diventano più attesi e intensi, l’amore scoppia senza preavviso. Senza che Gioia abbia il tempo di dare un nome a quella strana sensazione che prova.
Ma la felicità a volte può durare un solo attimo. Lo scompare, e Gioia non sa dove cercarlo. Perché Lo nasconde un segreto. Un segreto che solamente lei può scoprire. Solamente Gioia può capire gli indizi che lui ha lasciato. E per seguirli deve imparare che il verbo amare è una parola che racchiude mille e mille significati diversi.

Ci sono storie capaci di toccare le emozioni più profonde: “Eppure cadiamo” felici è una di quelle. Enrico Galiano insegna lettere ed è stato nominato nella lista dei migliori cento professori d’Italia. I giovani lo adorano perché è in grado di dare loro una voce. Grazie al suo modo non convenzionale di insegnare, in breve tempo è diventato anche un vero fenomeno della rete: ogni giorno i suoi post su Facebook e i suoi video raggiungono milioni di visualizzazioni. Un romanzo su quel momento in cui il mondo ti sembra un nemico, ma basta appoggiare la testa su una spalla pronta a sorreggere, perché le emozioni non facciano più paura.

Katja Macondo

Blue Whale: il gioco della morte.

Negli ultimi tempi si è sentito parlare di Blue Whale, il macabro e mortale gioco che ha purtroppo preso piede anche nel nostro Paese.

Ma cos’è esattamente il Blue Whale e qual è la ragione per la quale è nato?

Il Blue Whale, letteralmente Balena Blu, è un “gioco” in cui vi sono solo due partecipanti: un “curatore” e la vittima.

Le modalità sono assurde quanto violente, perché la vittima, solitamente un ragazzino dagli 8 ai 17 anni, è chiamato a compiere per 50 giorni atti contro la propria persona, che vanno dalle incisioni sulla pelle – specialmente la tipica balena – all’alzarsi alle 4,20 del mattino per visionare video e film raffiguranti suicidi o violenza, o ancora per ascoltare musica psicologicamente penetrante fino al suicidio.

Infatti il gioco Blue Whale è chiamato il gioco della morte, perché porta, in soli 50 giorni, la vittima a togliersi la vita per volere del curatore.

Tale triste e macabra induzione al suicidio, sotto forma di roleplay game è nata in Russia, sembra nel 2006, quando è stato scoperto grazie all’arresto di un uomo, che si vantò persino di aver indotto al suicidio decine di bambini, ritenuti da lui “scarti della società” e quindi meritevoli di una triste fine.

Purtroppo negli ultimi mesi questo fenomeno ha preso piede pure da noi, in Italia, dove sono state decine le segnalazioni da parte di familiari e amici di giovanissimi che hanno notato qualcosa di strano in loro.

Ma cosa spinge un ragazzino a farsi “svuotare” da questo gioco fino alla morte?

Potremmo partire dal fatto che, ultimamente, la vita di ognuno di noi è sempre più frenetica ed impegnata, tanto che, anche chi ha figli piccoli, si deve avvalere di babysitter, nonni o altre persone che diano aiuto per badare a loro. Questo fa sì che i nostri ragazzi siano sempre meno seguiti e che forse si sentano sempre più abbandonati dalle famig\lie.

Questo sintomo potrebbe spingere allora a sentirsi “amati” da una persona estranea che, mediante metodi psicologici subdoli, entra a far parte della vita di questi poveri ragazzi, fino a diventarne i padroni.

Infatti, sembra che la maggior parte dei curatori di Blue Whale sia costituita da laureati in psicologia infantile o psichiatri, quindi molto avvantaggiati nel capire come prendere “possesso” di una persona.

In Italia fortunatamente il fenomeno è (ancora) marginale, tanto che le segnalazioni di autolesionismo e di “blue Whale” sono poche decine.

Ma è un allarme ugualmente, perché ci fa capire quanto questo gioco sia potente e quanto sia “interessante” per i giovani, poco seguiti ormai dalle famiglie e sempre più presi da tecnologia e quant’altro.

In pochi mesi, da quando un noto programma televisivo ne ha parlato, alla Polizia postale e delle telecomunicazioni sono arrivate varie segnalazioni di persone che hanno notato segni strani su braccia e gambe di giovanissimi. Sinonimo di questo brutale gioco.

L’aspetto terribile di questo rpg è che il ragazzino deve fare vita normale e non far trasparire nulla né parlare con nessuno di ciò, fino al 50° giorno, quello del suicidio. Per questo è difficile notare chi ci “gioca”.

La sola cosa che potremmo fare tutti noi per evitare questa fine è seguire di più i nostri ragazzi, i nostri piccoli amici, in modo che non possano avvicinarsi a questo che può essere chiamato “il mortal gioco”.

Prendiamoci tutti una pausa, corriamo meno e dedichiamoci di più alla famiglia e…facciamo sparire la balena (solo quella del gioco) dalle vite di tutti i più piccoli. La vita è bella, facciamoglielo capire.

Daniel Incandela

“Il fantasma dell’Opera” a Casale Monferrato

Sabato 24 giugno, presso il Teatro Municipale di Casale Monferrato, ha avuto luogo la rappresentazione del musical di Andrew Lloyd Webber, “Il fantasma dell’Opera”. Lo spettacolo di fine anno organizzato dall’Accademia “Centro Danza Futura” è stato introdotto e chiuso da Real Press attraverso l’intervento della Direttrice della Testata, Veronica Iannotti.

Il saggio ha visto la partecipazione di tutti gli allievi della scuola, ed ha la peculiarità di aver riunito i vari stili, classico e moderno, in un’unica opera. La rappresentazione è stata particolarmente intensa e sentita quest’anno, poiché il Centro ha festeggiato il 15esimo anno di attività. Coreografie di Claudia Barbero, Direttrice del Centro, e dell’insegnante e ballerina, Isabel Cortés Nolten. Regia dell’attore e regista, Claudio Politano.

La storia de “Il fantasma dell’Opera” si articola su un triangolo costellato di ardenti amori, sferzanti gelosie e violente passioni. Tutto ciò viene enfatizzato dalla mestizia di una vita, quella del “fantasma”, segnata da dolore e solitudine, che rendono il genio creativo del musicista folle e colmo di rabbia furibonda. Una violenta disperazione che porta a un crescendo drammatico e di incontrollata intensità: un’opera rabbiosa e triste al contempo, ritratto di una Parigi sognante e speranzosa, eppur paludata da un sudario di tenebrosa inquietudine e tristezza.

La trasposizione in musical dell’opera di Gaston Leroux è uno dei capolavori più belli realizzati da Webber, caratterizzato da un’intensa atmosfera romantica e da una persistente amarezza. Una grandiosità che accosta questa produzione ad altri successi indelebili concepiti dal produttore londinese, reso leggendario da opere monumentali del calibro di “Cats”, “Evita” e dal meraviglioso “Jesus Christ Superstar”.

L’omino arrabbiato

Era una fredda sera invernale, il mese di gennaio di quell’anno fu uno dei più freddi che io ricordi.

In quella gelida sera conobbi una persona, un ragazzo gentile nei modi e molto educato. Una di quelle persone che subito capisci essere buone. Ma guardandolo bene notai qualcosa in lui di strano. I suoi occhi erano cupi, quasi uno sguardo arcigno lo caratterizzava. In quello sguardo traspariva una voglia di gridare, di urlare al mondo tutto ciò che il corpo non riusciva più a tenere dentro. Riconobbi subito quella sensazione, quegli occhi trasparivano rabbia. Una rabbia repressa, quasi nascosta, ma che un buon osservatore riusciva sicuramente a scovare.

Fu così che mi misi a parlare con questo ragazzotto e scoprii tante cose di lui. Una vita impegnatissima, piena di begli avvenimenti e di tante soddisfazioni.

Ma….Allora perché questa rabbia? Volli approfondire, capire cosa stava succedendo in questo nuovo amico. Cercai di domandare, ma lui si chiuse a riccio. Per forza, non mi conosceva ed ovviamente non si sentiva capace e né si fidava a parlare di sé. Lo capisco, perché aprirsi al mondo ed alle altre persone, soprattutto su fatti di carattere personale, non è facile. Anzi, è complicatissimo. Ed è pure rischioso. Pensate a quante persone vogliono sapere i fatti nostri solo per spulciare nelle nostre vite e godere delle nostre sconfitte E’ per questo che capisco questo ragazzo, comprendo la sua poca voglia di parlare di se stesso.

Ma volevo capire, volevo fortemente aiutarlo a sfogare e parlando capii che cominciava a fidarsi ed arricchire le chiacchiere di particolari. Sempre più ampi e sempre più personali.

Ad un tratto il giovinotto mi raccontò che intraprese un tipo di studi che credeva piacergli, era ancora giovanissimo ed incerto, ma convinto di ciò che andava a fare.

Ben presto capì che non era il suo percorso, non era ciò per cui voleva farsi il mazzo e che poco gliene caleva del fatto che quello fosse il suo futuro. Mi disse che a fatica terminò quel percorso ma cambiò poi strada, intraprendendone una totalmente diversa. Fu lì che capii che si stava aprendo, stava parlando della sua vita.

Ad un certo momento gli feci una domanda diretta: «Ehi amico, i tuoi occhi non mi dicono cose buone, tu hai della rabbia repressa in te. Come mai tanta rabbia?»

Lui rimase sorpreso, quasi scioccato. Mi guardò e disse: «Guarda mio caro, quando credi di conoscere bene le persone ed in realtà scopri che esse son diverse da come le avevi idealizzate…..beh, fa malissimo. Ed è qui che esplode la rabbia»

Rimasi in silenzio, ma poi gli dissi questo: «Amico mio, ti capisco. Anche io a volte non so come mai la gente cambia, o se cambiamo noi. Però vedi, la rabbia, se fine a se stessa non è positiva. Bisogna trasformarla in sensazioni positive, in stimoli buoni per andare avanti e creare. Creare nuove opportunità. È un po’ come la dinamo delle biciclette: tu pedali, fai fatica e magari tiri accidenti. Ma alla fine accendi la lampadina. Così va usata la rabbia, per creare nuove forze, per conquistare nuove vittorie»

Vedete, quel ragazzo, con cui alla fine mi scambiai i numeri di telefono, dopo qualche giorno mi ricontattò. Lo fece per ringraziarmi, perché aveva pensato a ciò che gli avevo consigliato. Mi disse che da quel momento in cui gli diedi quella “dritta” imparò che la rabbia è uno stimolo e non la sensazione in sé e che usandola bene crea energie infinite e tutte volte alla positività ed alla produttività.

Non rividi mai più quel ragazzo, ma ebbi la certezza che, da allora, imparò a far tesoro delle mie parole, come io feci tesoro della sua conoscenza e posso solamente dire che la sua rabbia arricchì anche me.

Daniel Incandela